Corriere della Sera, 8 maggio 2016
Con l’uccisione dei magistrati Coco e Occorsio le Br iniziarono l’assalto allo Stato
Due cadaveri crivellati di colpi, a un mese di distanza l’uno dall’altro, sono il simbolo del doppio attacco eversivo lanciato quarant’anni fa dal terrorismo italiano. Era il 1976, Matteo Renzi aveva appena imparato a camminare, mentre il Paese che oggi governa si trovò ad affrontare i gruppi armati clandestini che dall’estrema sinistra e dall’estrema destra cominciarono a sparare sui simboli del «regime»; per rovesciarlo, oppure stabilizzarlo grazie alle reazioni provocate. In un mondo dove l’Italia faceva da frontiera tra Est e Ovest, blocco sovietico contro blocco atlantico, con un partito comunista che mai come quell’anno si avvicinò alla soglia del potere.
Le Brigate rosse avevano già ucciso e i neofascisti avevano già messo le bombe nelle piazze e sui treni, ma fu allora, nel ’76, che fecero il salto di qualità. Con l’esecuzione di due magistrati: Francesco Coco, ammazzato a Genova l’8 giugno insieme a due uomini della scorta, e Vittorio Occorsio, trucidato a Roma il 10 luglio. Due bersagli per la prima volta selezionati a tavolino; due vittime che saranno ricordate domani a Montecitorio, insieme alle altre, nel Giorno della Memoria che si celebrerà alla presenza del capo dello Stato, e martedì con una commemorazione alla Corte di cassazione.
Il filo che portò all’omicidio Coco cominciò a dipanarsi due anni prima, con il sequestro del pubblico ministero genovese Mario Sossi, rapito dalle Brigate rosse nell’aprile del 1974, nel pieno della campagna per il referendum sul divorzio che contrapponeva la Dc alle forze laiche e di sinistra. Per la prima volta i brigatisti erano usciti dai confini delle fabbriche in cui erano nate dando l’assalto allo Stato, mettendo nel mirino la magistratura. Sossi fu liberato dopo oltre un mese di prigionia, in cambio della promessa di rilascio di alcuni detenuti della banda anarco-comunista XXII ottobre, messi sotto processo dallo stesso Sossi. La Corte d’appello aveva dato il via libera, ma il procuratore generale Coco si oppose e bloccò la scarcerazione. «Si rimangia la parola data, e noi ce lo segniamo», ha raccontato Mario Moretti, che di lì a poco avrebbe preso in mano la guida dell’organizzazione.
Due anni più tardi, mentre l’Italia piange i mille morti del terremoto in Friuli e vive la campagna elettorale che avrebbe portato il Pci a raccogliere il massimo storico dei voti, le Br saldano il conto e sparano a Coco, fulminato mentre torna a casa per il pranzo. Insieme a lui cadono i due agenti di scorta Antioco Dejana e Giovanni Saponara. Al di là della vendetta per il caso Sossi, quel delitto rappresenta un bivio perché le Br fanno capire che d’ora in avanti l’assassinio politico diventa strategia, il loro modo per rapportarsi con le istituzioni. È la strada che porterà al sequestro e all’omicidio di Aldo Moro e ai tanti altri firmati di lì in avanti con la sella a cinque punte.
«Con Coco le Br non sono più sulla difensiva ma passano all’offensiva», spiegherà Prospero Gallinari, che dalla gabbia del processo ai capi brigatisti arrestati (poi evaderà e parteciperà al sequestro Moro) tentò di leggere un comunicato di rivendicazione. E Raffaele Fiore, uno dei killer della strage di via Fani: «La rivoluzione non è un pranzo di gala, e se qualcuno pensava di partecipare a un banchetto, dal quel momento ha capito che era finita». Il punto di non ritorno per la banda armata che più di ogni altra ha segnato e deviato la storia d’Italia.
Un mese più tardi anche i neofascisti entrano in azione per eliminare il pubblico ministero che stava indagando su Ordine nuovo e le altre organizzazioni dell’estremismo nero. Fino a quel momento si erano mossi per lo più nell’ombra, offrendo manovalanza per le stragi e alimentando lo scontro con l’estrema sinistra; la condanna a morte del magistrato che con le sue inchieste aveva portato allo scioglimento di On rappresenta un balzo in avanti, e fa indossare loro una nuova maschera.
La vittima designata è Vittorio Occorsio, sostituto procuratore della Repubblica a Roma, che nella calura di luglio stava ultimando i capi d’imputazione del processo «Ordine nuovo bis», fissato per l’autunno. Ma soprattutto aveva allargato le indagini ai rapporti tra estrema destra, malavita comune e massoneria «deviata». Un groviglio di relazioni oscure che prometteva di aprire squarci di verità sorprendenti, soprattutto per quanto riguarda la destinazione dei riscatti pagati nei sequestri di persona. Che però Occorsio non fece in tempo a scoprire.
La mattina di sabato 10 luglio, con la moglie e una figlia fuori città e l’altro figlio rimasto in casa a studiare per un esame universitario, il magistrato esce alle 8.30 per andare in ufficio. Sale sulla macchina custodita in garage, ma appena compare in strada cade sotto una pioggia di proiettili sparati dal mitra impugnato da Pierluigi Concutelli, militante di Ordine nuovo che prima di fuggire sulla moto guidata da un complice lascia sul posto un volantino: «La giustizia borghese si ferma all’ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre».
Il sicario di Occorsio sarà arrestato sette mesi più tardi, in un covo all’ombra del Campidoglio dove teneva armi e soldi, alcuni provenienti dal riscatto di un rapimento fatto da Renato Vallanzasca, che a sua volta aveva legami con il «clan dei marsigliesi» che imperversava su Roma. Era la conferma che il pm ucciso aveva imboccato la pista giusta: i contatti tra eversione nera e criminalità, che proseguiranno fino ad episodi collegati con le indagini su Mafia capitale, in cui compaiono diversi neofascisti degli anni Settanta e Ottanta. Affascinati dal boia che aveva ammazzato il suo giudice. Uno di questi è Emanuele Macchi di Cellere, attualmente imputato per droga e (con un ex camerata) per un omicidio del luglio 2014 che non c’entra con la politica bensì con questioni di soldi; prima di essere arrestato si era preso cura proprio dell’ergastolano Concutelli, uscito di prigione per «sospensione pena» dovuta a motivi di salute: «Lo rispetto e lo stimo perché paga in silenzio un atto coraggioso», affermò.
Sono i postumi di una trama che quarant’anni fa cambiò il volto del terrorismo nostrano, insieme a quella del delitto Coco. Due magistrati assassinati nel giro di un mese, per dare inizio all’assalto – fallito – alla democrazia italiana.