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 2016  maggio 09 Lunedì calendario

A Platì, il paese dove Stato e democrazia non sono più di casa

Nel paese che non riesce a eleggere il sindaco, c’è stato un tempo in cui la politica era più forte della ‘ndrangheta. Negli anni Sessanta e Settanta a Platì erano appassionati, avevano una sezione del Pci con 400 iscritti che rumoreggiavano non lontano da quella della Dc, meno frequentata ma lo stesso agguerrita. C’erano le bandiere, i comizi in strada, Avanti Popolo, le proteste. «Eravamo rossi e impegnati come in Emilia Romagna, non avevamo paura di niente», ricorda Saverio Catanzariti, 72 anni e 7 fratelli.
C’erano i partiti, a Platì. C’era lo Stato.
Sono spariti entrambi. E nel vuoto, nessuno vuole più ammettere di avere la mafia in casa.
Saverio ha il poster di Che Guevara nel salotto, sopra la foto del fratello. «Ciccio Catanzariti, sindaco comunista di Platì...prese 43mila preferenze nel 1970 e diventò onorevole». Scandisce con orgoglio le sue radici. E aggiunge: «La sinistra deve tornare nella Locride, se vuole essere sinistra. A Platì nessuno ha più il coraggio di fare il sindaco, tutti temono di essere coinvolti nell’ennesimo fallimento per colpa di una legge sullo scioglimento per infiltrazione mafiosa che è assurda, troppo punitiva».
Da queste parti non si sono ancora risvegliati dalla lunga notte del 14 novembre del 2003. Arrivarono quassù a centinaia, prima che facesse l’alba. I carabinieri del Ros, i paracadutisti del reggimento Tuscania, lo squadrone “cacciatori” Calabria. Catturarono più di cento persone contestando loro decine di reati tra cui l’associazione mafiosa: finirono dentro l’allora sindaco Francesco Mittiga, il vicesindaco, dodici assessori, il comandante della municipale. I grandi quotidiani del mondo mandarono i loro reporter a raccontare il «paese tutto mafioso dell’Aspromonte». Tuttavia, tra proscioglimenti, prescrizioni e reati derubricati, le condanne per l’indagine “Marine” della procura di Reggio Calabria furono soltanto otto. Anche il sindaco Mittiga fu prosciolto. Ma da allora, Platì, che non ha mai smesso di essere la patria delle cosche Barbaro, Papalia, Sergi e Marando come altre inchieste hanno dimostrato, ha avuto l’alibi per abbandonare il primo strumento democratico: il voto.
Nel 2004, dopo l’operazione “Marine”, va alle urne il 53 per cento degli aventi diritto. Riportano in municipio il medico Mittiga, che ha un passato nel Movimento sociale ma si presenta con una lista civica. Rimane in carica due anni. Nel 2006 il comune viene sciolto per il rischio di infiltrazioni mafiose, e si insedia una commissione straordinaria. Giugno 2009, di nuovo elezioni: vota il 38,1 per cento, eleggono la lista di Michele Strangio. Neanche due anni e Strangio si dimette «per la mancata assegnazione di un segretario comunale». Siamo nel 2011, torna il commissario prefettizio. L’anno dopo la giunta viene sciolta di nuovo. Elezioni del maggio 2014: sulla scheda appare solo il nome di Mittiga con la lista “Risveglio Popolare” e l’affluenza è disastrosa (appena il 24%, meno di mille persone). Il quorum del 50% non è raggiunto. La prefettura ci riprova nel 2015: comunali indette per il primo giugno, candidati zero.
Perché è così difficile avere un sindaco? «Per i cognomi», spiega Rocco Barbaro. Ha 42 anni, fa l’operaio nella ditta di famiglia, e la domenica la passa davanti allo Juventus Club, perché Platì non ha oratorio, né campi di calcetto pubblici, né cinema. Il 40% dei suoi concittadini porta il suo stesso cognome, Barbaro. «Tutti abbiamo almeno un parente che ha avuto guai con la giustizia. Io sono incensurato, ma se mi candidassi troverebbero il modo per sciogliere di nuovo l’amministrazione».
È anche per questo che il cognome della “forestiera” Annarita Leonardi (è di Reggio Calabria) sembrava quello giusto per il Pd: giovane, attivissima sui social, volenterosa. All’ultimo miglio, però, quando si doveva depositare la lista, lei si ritira. «Il partito locale mi ha boicottata», ha detto ieri a Repubblica. E il premier Renzi le ha indirettamente risposto, così: «Quando a Ercolano ho commissariato un intero partito e ho imposto un candidato sindaco che la camorra minaccia una volta alla settimana, lui ha vinto contro il parere di tutti. In altri casi siamo riusciti meno».
L’iniziativa della Leonardi non è stata però inutile. Per le comunali del 5 giugno, infatti, ci sono due liste civiche: una per Ilaria Mittiga, figlia dell’ex sindaco, l’altra per Rosario Sergi. Come tutti a Platì, Sergi ha difficoltà ad ammettere il “peccato originale” del paese: «Gli scioglimenti per mafia sono stati troppo avventati e frutto di scelte politiche. La criminalità più o meno organizzata c’è, ma le responsabilità sono personali. Il parroco, don Giuseppe, in parrocchia da un anno e mezzo: «So che la ‘ndrangheta c’è, ma io non l’ho vista. Siamo il capro espiatorio di tutti». Francesco Mittiga: «Quello che ha fatto lo Stato con Platì è stato vergognoso». «Ci vuole più Stato», dicono a Platì. Poi però lo Stato fa paura, quando scioglie i comuni per mafia.