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 2016  maggio 09 Lunedì calendario

Una nuova versione della Corea del Nord. Meglio le parole ambigue delle minacce nucleari

Pyongyang Kim Jong-un in questi giorni ha scambiato la divisa verde oliva di Maresciallo (senza aver mai fatto il militare) con un gessato di taglia extralarge per presiedere il Congresso del Partito dei Lavoratori. E nella tasca della giubba ha lasciato per ora il repertorio di minacce di annientamento nucleare del nemico imperialista. Nel discorso pronunciato in una inaccessibile Casa della Cultura di Pyongyang, durato tre ore e trasmesso dalla tv di regime con un giorno di ritardo, Kim ha detto che la Corea del Nord «è uno Stato nucleare responsabile, che non userà mai queste sue armi per prima, a meno che forze aggressive ostili non impieghino il loro arsenale di bombe atomiche per usurpare la nostra sovranità». Che cosa significa «usurpare» la sovranità, o «minacciarla» (secondo differenti traduzioni dal coreano)? Si tratta di un’apertura o non c’è niente di nuovo? Gli esperti di questa crisi peninsulare che è costata una guerra (quasi mondiale) tra il 1950 e il 1953 ricordano che il regime vetero-stalinista ha più volte sostenuto di volere un deterrente nucleare a puro scopo difensivo. Ma ieri Kim è stato più «tecnico», parlando della temuta ipotesi del «first strike», il colpo a tradimento, e l’ha scartata (sempre che non si senta usurpato o minacciato). Bisogna anche considerare che la dichiarazione è stata fatta davanti al Congresso del Partito di regime che non si svolgeva da 36 anni: una occasione epocale secondo Pyongyang. Per essere sicuro di avere il dovuto ascolto da parte del mondo, il «regno eremita» ha permesso l’ingresso di alcuni giornalisti stranieri. C’è un altro passaggio del discorso di Kim che suona come un tentativo di offerta: senza nominare gli Stati Uniti, ha detto che la Nord Corea è disposta a cercare di migliorare i rapporti con «i Paesi che le sono ostili, a condizione che si comportino in maniera amichevole e rispettino la sua sovranità e indipendenza». Ultimo impegno: la Corea del Nord che ha compiuto il suo quarto test nucleare a gennaio e forse ne sta preparando un altro a breve, sostiene di essere impegnata contro la «proliferazione». Secondo gli americani, Kim vorrebbe che Washington accettasse Pyongyang come potenza nucleare e firmasse un trattato di pace (dal 1953 tecnicamente c’è solo tregua) in cambio di una promessa nordcoreana a non accrescere ancora l’arsenale e a non cedere tecnologia nucleare in giro per il mondo, magari a gruppi terroristici. Le parole di Kim sembrano anche dare nuovo spazio di manovra alla Cina, che ora si è impegnata nel piano più duro di sanzioni votate dall’Onu, ma invoca la ripresa dei negoziati e teme l’implosione di un Paese con il quale confina. Kim ha dedicato lunga parte del suo proclama all’economia, in stato di arretratezza spaventosa. Ha lanciato un piano quinquennale per la meccanizzazione dell’agricoltura ora affidata alle sole braccia di contadini sfiniti e di costituzione di un’industria leggera. Comunque le si giudichi, sempre meglio queste parole tutte da decifrare e ambigue delle minacce radioattive esplicite.