Corriere della Sera, 9 maggio 2016
Il ritorno, la vittoria e le polemiche: il secondo capitolo del romanzo di Alex Schwazer
Il film della vita gli passa davanti a cerchi concentrici tra il Colosseo e Caracalla, un fotogramma al giro. Nella curva degli ultrà, scesa dai due pullman arrivati da Calice di Racines, c’è Maria Luisa, la mamma che ai tempi della depressione ha davvero temuto non ci fosse un domani. Al rifornimento, tra spugne madide e bottigliette d’acqua, spunta Giuseppe Fischetto, responsabile Iaaf dell’antidoping, il dottore imputato per favoreggiamento dalla Procura di Bolzano in seguito alla confessione a orologeria che portò al patteggiamento di otto mesi per il reato di doping. Sul rettilineo svetta la figura allampanata di Gerhard Brandstaetter, l’avvocato che dal 2012 lo difende gratis. E sotto i pini marittimi che fanno ombra a questo melodramma a lieto fine, un uomo in tuta azzurra dell’Italia si sgola taccuino alla mano: «Pensa solo ad arrivare il più fresco possibile, che dobbiamo continuare gli allenamenti!». Sì, sì, fa cenno il biondo con la testa a Sandro Donati, finalmente sciolto dopo la tensione iniziale, tacco-punta-tacco-punta verso la redenzione.
Benvenuti dentro il romanzo di Alex Schwazer, il redivivo. La 50 km di marcia di Coppa del Mondo è la confessione a cielo aperto che ne certifica il ravvedimento, fino a prova contraria. Quattro Ave Marie e un Padre Nostro, ragazzo, e l’oro iridato sarà tuo. Tutta l’atletica si è data appuntamento qui, nel cuore caldo di una Roma dalla bellezza commovente. Ex marciatori, tecnici, federales. La confraternita spaccata in due da sei lustri: pro o contro Donati.
Dietro gli occhiali da sole extralarge, viaggiando alla strepitosa velocità di tre ore e trentanove minuti (seconda miglior prestazione dell’anno) in cima a 45 mesi di squalifica, Alex non si perde un dettaglio di questa commedia dell’arte a metà tra Fellini e Shakespeare, aggrappata come un naufrago ai rancori e ai vecchi dispetti del passato quando invece è lo spessore umano del viaggio di due esclusi alla riconquista di sé a prevalere sul sapore metallico della ruggine, perché chi vive nel passato è uno zombie e Schwazer ha una voglia furibonda, vitale, di futuro. Ha l’abbronzatura del muratore, ricordo degli allenamenti sulla pista ciclabile che costeggia il Tevere, l’incubatrice grondante umidità nella quale ha covato la sua rivincita. All’inizio è teso come una corda di violino. Non ci sono i russi, il più forte dei cinesi, Yucheng Han, ha 38 anni. L’armistizio firmato con gli azzurri è il terreno su cui allacciare alleanze, e infatti partono come palle di cannone, Schwazer, De Luca, Giupponi e Tontodonati, per stringere nella morsa quel peperino dell’australiano Tallent, oro a Londra per la squalifica del solito russo al meldonio. La 50 km è una brutta bestia. Dopo quattro anni senza ritmo-gara, poi, diventa un esercizio di stile sostenuto da forze sottili: la rabbia che gli ronza dentro, l’orgoglio di dimostrare che senza Epo si può.
Al km 25, metà maratona, Donati libera la belva. «Aumenta» gli sibila al passaggio. Alex non aspettava altro. Cambia marcia, al km 30 è solo. Non lo prenderanno più. Tallent arriva a +3’36’’, l’ucraino Glavan a +5’02’’. De Luca quarto, Caporaso quinto, Giupponi ottavo blindano l’oro di squadra.
A Rio sarà tutta un’altra storia, certe perplessità restano, però adesso è giusto festeggiare. Donati aspetta Alex sul traguardo: è l’abbraccio tra due simili che il resto del mondo resiste a riconoscere, saldati dall’enormità dell’impresa. Da dopato a punta della spedizione olimpica, in cinquanta chilometri: «Una gara bellissima, che non dimenticherò facilmente. Ho fatto un grande sbaglio e sono stato male. Oggi fare fatica è bello. I russi a Rio? Vengano pure. Non ho paura di nessuno». Donati non l’ha mai avuta: «Da trent’anni sconto di aver fatto cadere il sistema-Nebiolo. Su Alex, che è controllatissimo, metto la mano sul fuoco: questa mia sfida è un cambio culturale per l’atletica».
L’oro di Schwazer è un gong potente, un battito che scuote il palazzo alle fondamenta, di segno opposto al terremoto che provocò la sua positività. Tallent è caustico: «Ha vinto di nuovo uno che ha imbrogliato». Del vecchio Alex, quello nuovo ha mantenuto la freddezza da rettile: «Forse era un po’ stanco... In gara non l’ho mai visto». Con la qualificazione a Rio, si rimette in moto il business. Un libro e un docu-film, riaperte le trattative con gli sponsor che non ne volevano più sapere. Un grosso marchio di jeans è pronto a scommettere sulla potenza taumaturgica di questo feuilleton a puntate, capace di far sentire tutti un po’ più buoni, che si presta a essere giudicato però non annoia mai.