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 2016  maggio 08 Domenica calendario

Berlusconi ha perso il suo tocco da grande venditore. I cattivi pensieri di Gianni Mura sul Milan, i cinesi e molto altro

In un filmato, venerdì sera, Silvio Berlusconi spiazza tutti annunciando che, quanto a possibili acquirenti o cordate di sostegno, preferisce gli italiani ai cinesi. Spiazza perché, essendo da tempo in trattative coi cinesi, questo non sembra il modo migliore per concluderle. Spiazza perché Berlusconi è sempre stato definito, anche dai detrattori, un ottimo venditore. E questo farebbe pensare a una strategia precisa. In amor vince chi fugge, dicevano i nostri vecchi. Lo smarcamento, il raffreddamento, la deviazione del presidente preludono a una rottura o ad un accordo? Bisognerebbe chiederlo a un ottimo venditore. Io, mai stato, mi sono divertito a immaginare un filmato di Berlusconi giocato sugli endecasillabi. Eccolo: «Pensavate la Cina più vicina? I piccioni e le fave son da prendere ma prima d’incassar bisogna vendere o ci troviamo su una brutta china. Parlo ai tifosi: non pensate male. Quello spirto guerrier ch’entro mi ringhia mi fa dire che sì, tiriam la cinghia dopo quasi un trentennio di caviale. La Cina s’allontana poco a poco, se cedo cederò a degli italiani. E siate meno duri con Galliani, rispettate le regole del giuoco. Scusate, il mio Milan dovrei cedere ad una particella avversativa? Cedere a un Ma? Mi pare idea cattiva come un cuscino senza le due federe. Basta restare con la testa sotto. Il Milan non è più cane né pesce. È un gran casino. Giuro: se ne esce. Milan agli italiani è il nuovo motto. Gli italiani, dal Lilibeo al Pordoi, per favore trovatemeli voi».
A Roma è tornata la pace tra Pallotta, Spalletti e Totti. Con tatto, contatti con Totti. Contrasto? Contratto. Non regalato, aggiungo. Manco gli avessero detto «E adesso facci vedere cosa sai fare», Totti gliel ‘ha dimostrato una, due, tre volte. Così ora a Roma c’è un Francesco papa laico e un Francesco papa vero (ma non papavero). Uno degli ultimi, in Italia, a dire qualcosa di sinistra su temi importanti: i muri che dovrebbero essere ponti, le migrazioni che non dovrebbero essere reato, i migranti che dovrebbero essere persone e non numeri. Meno importante ma sintomatico di un modo di comunicare è il caso- Perin. Non solo suo. Perin, che s’è rotto un ginocchio e dovrà saltare gli europei, è di Latina, città non molto amata a Frosinone. Striscione esposto: “Perin ancora poche ore oggi il ginocchio domani il cuore”. Più altre carinerie del genere, finché Perin sbotta su Instagram: «A Vallecorsa cambiò la storia, tuo nonno parla arabo… il mio fondò Littoria!». Come sanno i frequentatori di questa rubrica, i tre puntini di sospensione e il punto esclamativo portano automaticamente al 2. Che scende a -5 perché, sia pure provocato, Perin con Vallecorsa gioca una bruttissima carta. Il paese, medaglia d’oro al Merito Civile ispirò a De Sica “La ciociara”, nella sua storia ci sono violenze sulla popolazione civile, donne in particolare, da parte dei soldati marocchini aggregati agli Alleati. D’istinto si possono fare grandi parate, difficilmente grandi messaggi. Infatti Perin si è scusato ampiamente, chiudendo con: «Il dispiacere è reso ancora maggiore in quanto il mio atteggiamento non rispecchia i valori in cui credo e che cerco di perseguire». Su atteggiamento è valori è meglio che Perin chiarisca con Perin.
Già che ci sono, non posso perdere l’occasione di spedire un 2 a Maurizio Crozza. Definire “friulano” Nereo Rocco, come ha fatto venerdì sera, è molto grave. Non posso perdere l’occasione perché normalmente Crozza viaggia tra il 7,5 e il 9. Perché fa ridere, non perché è rimasto uno degli ultimi a dire cose di sinistra. Come papa Francesco. Forse un po’ di più, poi è chiaro che ognuno fa il suo mestiere. Venerdì, divertente il triplo Crozza, nei panni di Mourinho, Sacchi e Mancini seduti al bancone di un bar. Cominciano con brindisi e felicitazioni a Ranieri e al Leicester e finiscono coprendolidi male parole.
Buone parole e buone storie in alcuni libri di sport. Uno è “Indro al Giro”, a cura di Andrea Schianchi: le cronache di un elettrico Montanelli dai Giri 1947 e ‘48 (ed. Rizzoli). Un altro, “Ex” di Matteo Cruccu (ed. Baldini & Castoldi). Sottotitolo: “Storie di uomini dopo il calcio”. Si rivedono Comandini e Flachi, Torricelli e Zampagna, Ballotta (che gioca ancora) e Pasquale Bruno. Sul tema dell’addio, ma allargato ad altri sport, “Vuoto a vincere” (ed. Absolutely Free). L’hanno scritto Giorgio Burreddu, Fabio Cola e Alessandra Giardini, inquadra il periodo più difficile per un atleta abituato per anni a una vita da atleta, ad avere traguardi. Lo raccontano, con apprezzabile sincerità, dieci campioni: Andrea Lucchetta, Jury Chechi, Gabriella Dorio, Giovanna Trillini, Domenico Fioravanti, Alessandra Sensini, Antonio Rossi, Antonio Cabrini, Adriano Panatta e Nino Benvenuti.