la Repubblica, 8 maggio 2016
Rosy Bindi fa la predica al Pd (e a tutti gli altri partiti), parla di questione morale e si toglie qualche sassolino dalla scarpa
Rosy Bindi, l’anno scorso ci fu uno scontro tra lei e il Pd su De Luca. Quest’anno come sono andate le cose?
«Le forze politiche ora hanno fatto a gara a portare alla Commissione le liste elettorali. E noi abbiamo circoscritto il campo di osservazione ai Comuni sciolti per mafia o che erano sotto osservazione del Viminale per rischi di infiltrazioni mafiose, inclusa Roma. Non diamo noi patenti di candidabilità, però abbiamo raccomandato ai partiti di vigilare, perché le amministrazioni locali sono il primo varco per la penetrazione delle mafie nella politica e nella pubblica amministrazione. Dopo le elezioni, faremo anche una verifica a campione».
La politica italiana è infiltrata dalle mafie?
«La ricerca di relazioni con la politica che le mafie hanno sempre avuto è concentrata negli enti locali perché lì ci sono gli appalti, le concessioni. Le mafie sono interessanti per la politica perché in grado di veicolare il consenso. Spesso per vincere le elezioni si va alla ricerca di espedienti, come liste civiche che possono infettare il risultato».
Sta dicendo ai leader politici: attenti a non volere vincere a tutti i costi, magari con gli amici di Cosentino a Napoli?
«Sì. Perché basta una manciata di voti che possono risultare inquinati per consegnare la propria libertà. Aggiungo che la questione morale va oltre il rapporto con le mafie. La corruzione è praticata anche da chi mafioso non è. C’è un problema di buona amministrazione che è tale se ci si attiene al rispetto delle regole. Il principio di legalità è il principio fondamentale della buona amministrazione».
Il sindaco di Lodi, Simone Uggetti in carcere per turbativa d’asta, non ha rispettato le regole?
«Non voglio entrare nel merito di un singolo caso. Però la capacità della politica sta nel fare cose buone per la propria comunità rispettando la legge. A un amministratore la misura delle cose buone fatte non gliela dà il consenso né il proprio partito, neppure la propria coscienza paradossalmente, ma il rispetto delle norme».
Renzi afferma che la questione morale è di tutti. Ma forse il Pd dovrebbe interrogarsi sulla propria parte?
«È questione di tutti ma né la lotta alla mafia né la questione morale possono essere usate come strumento di lotta tra le forze politiche. Comunque il Pd deve dire a viso aperto: “noi non vogliamo i voti della mafia”. A Platì, dove abbiamo rinunciato alla battaglia e dove si candideranno persone che furono responsabili dello scioglimento del comune, dobbiamo imparare la lezione. Non basta la generosità di una giovane donna, magari inesperta e esposta a rischi. Bisogna ricostruire le comunità politiche. In Calabria dovremmo comportarci come i missionari, radicarci nelle comunità sofferenti, condividere i problemi, anche la paura, e trovare strade di riscatto».
La Confindustria copre la mafia facendo affari, come ha denunciato il sindaco di Palermo, Orlando?
«Ho convocato Orlando in commissione Antimafia, perché ha fatto affermazioni molto gravi. Esiste però un problema di verifica sull’Antimafia».
Nel senso che c’è una Antimafia infiltrata dalla mafia?
«Qualche volta lo è, ma altre usa metodi che servono a conquistare pezzi di potere, prestigio, carriere. L’impegno antimafia va ripulito dalle scorie ma va rilanciato».
È tornata la tensione tra politica e magistratura. E il Pd ha qualche ragione per sentirsi assediato?
«Spero di no e vedo senso di responsabilità da parte di tutti. Il Pd per non sentirsi assediato ha una strada sola: arrivare prima dei magistrati. La magistratura non si sostituisca alla politica, ma questa non insegua il principio di impunità».
Il consigliere laico del Csm, Morosini ha attaccato il governo. Ha sbagliato?
«Sì, anche se ha smentito quell’intervista. Comunque i magistrati possono esprimere giudizi suelle riforme».