La Stampa, 8 maggio 2016
Cronaca del primo giorno del primo Festival di Sanremo, il 29 gennaio 1951
Avrebbe riempito, nei decenni che seguirono, torrenti di polemiche in tv, in radio e poi nel web. Ma quando nacque, il 29 gennaio 1951 nel teatrino del Casinò, sotto il segno della vittoria di «Grazie dei fiori» con Nilla Pizzi, i giornali neppure si accorsero del Festival di Sanremo.
Una gara musicale sul solco di quella di Napoli, inventata da Amilcare Rambaldi (il fioraio/poeta poi fondatore del Premio Tenco) per tenere allegri i clienti della roulette nell’edificio liberty che ancora rallegra Sanremo. Ma le tre serate nate in sordina sotto la guida di Nunzio Filogamo ebbero una tale eco postuma che nel ’52 «La Stampa» affidò una prima cronaca a un personaggio di prestigio, Angelo Nizza, torinese, passato alla storia della radio soprattutto per il successo dei «Quattro Moschettieri» ideato con Morbelli, dal 1934 al ’37. Nizza fu poi direttore del Casinò di Sanremo, prima di dedicarsi al giornalismo; queste cronache festivaliere paiono il suo primo contributo a «La Stampa», siglate per ora A. N., ma con bella evidenza nel titolo di spalla.
Entrava subito, Nizza, nell’elenco dei vincitori della finale del 30 gennaio, ché allora non si pensava neanche di «ribattere» come si dice in gergo giornalistico, aggiornare cioè un pezzo nella notte. Prima «Vola Colomba», seguita da «Papaveri e Papere» e «Una donna prega». Non erano citati gli interpreti, ma solo gli autori, allora più importanti. Nizza lodava con lievità la scelta di «Vola Colomba», ma si chiedeva cosa ne avrebbero fatto le sale da ballo. Come sempre, è la vita a dare risposte, e «Vola Colomba» sarebbe diventata un must nelle serate di cori ad alto tasso alcolico.
L’articolo mette in rilievo l’assoluto potere della Rai con la commissione selezionatrice dei 20 titoli in gara, tra gli 810 presentati (e dunque non è cambiato niente, in questi ultimi 65 anni). Nizza lamentava: «La produzione media è in netto ribasso» (sembra scritto ieri), e se la prendeva con «la faciloneria abituale di chi compone le parole» (idem). La critica serrata poi faceva riferimento al diverso spessore della musica leggera francese, dove le canzoni erano scritte anche da «poeti celeberrimi come Prévert e Cocteau». Scriveva: «La canzone è la poesia del popolo... si rende necessaria una maggiore severità nella selezione e forse anche una modifica al regolamento».
L’anno successivo, 1953, gli articoli di Angelo Nizza divennero tre, uno per serata. Il primo, 29 gennaio, ricordava che le canzoni del ’52 ancora imperversavano ai microfoni francesi, ma anche che c’era stato un lungo strascico di sospetti brogli degli editori per favorire i propri titoli. Nilla Pizzi, pare, era stata accusata di aver chiesto troppi soldi per cantare, ma rieccola. Le orchestre erano diventate due, di Angelini e Trovajoli, ognuno con i propri cantanti. Prendeva forma una sorta di giuria demoscopica, di «ben 240 radioascoltatori», via ponte radio.
Il primo febbraio, Nizza annunciò che «il Festival aveva assunto l’aspetto di un fatto nazionale». Annunciò non entusiasticamente la vittoria della tristissima «Viale D’Autunno» di D’Anzi, lamentò ancora la modesta qualità generale, disse che il meglio era stato lasciato fuori. Ma si augurò che la rassegna continuasse, contro coloro che avrebbero voluto il contrario. L’articolo si concludeva con il testo della canzone vincitrice; la scalata del Festivalone sui giornali era ormai iniziata.