La Stampa, 8 maggio 2016
Catalogo dei piccoli e grandi orrori di questa campagna elettorale romana
I candidati, i progetti, i protagonisti, i temi, le gaffe: la campagna elettorale per Roma comincia a essere ricca, se il termine pare adeguato. A voi una piccola selezione.
Tevere
Dopo il ritiro di Guido Bertolaso, che voleva rendere il Tevere balneabile, resta l’idea di Giorgia Meloni, alla quale basterebbe liberare le sponde da ratti e baracche per le passeggiate dei romani. Gira e rigira si cita Carlo Verdone, che in un film chiedeva se non convenisse asfaltarlo, perché il vecchio Tevere è sempre una suggestione: da Bettino Craxi, che a fine Anni 80 si fece intervistare a bordo di un battello promettendo nuova vita al fiume, fino a Ignazio Marino, che come tanti pensò a trasporti su acqua.
Trasporti
A proposito: l’idea di Virginia Raggi, le funivie urbane, che ha sollevato molto sarcasmo sul web, è un sistema che funziona e bene a Rio, a Barcellona, a Hong Kong, per fare pochi esempi. Ed è allo studio nelle capitali europee, comprese quelle senza grandi saliscendi: Londra, Parigi, Berlino. Se non altro, per un mezzo pomeriggio non si è affrontato il dibattito intorno alle buche.
Candidati
Consegnate ieri le liste: in quella di Mario Adinolfi, pretendente al Campidoglio per il Popolo della famiglia, c’è anche una minorenne che, però e per fortuna, compirà diciotto anni domani. Come ogni buona campagna elettorale, anche questa ha tirato fuori personaggi sorprendenti: Giobbe Covatta è capolista dei Verdi (è già stato consigliere nel 2006), Alessia Filippi, campionessa mondiale dei 1.500 stile libero, corre con Roberto Giachetti, Piera Levi Montalcini, nipote di Rita, è numero uno del Pd. Notevole la sfida fra Alessandra e Rachele Mussolini, la prima con Alfio Marchini, l’altra con Meloni.
Destra e sinistra
Alessandra e Rachele sono figlie di madre diversa. Il padre è Romano, bravo jazzista, quartogenito di Benito. Ma è difficile trovare una competizione in cui i concetti di destra e sinistra sono sembrati più fragili. Marchini, che viene dalla borghesia comunista (il nonno era un capo partigiano di Roma), è appoggiato da Silvio Berlusconi, e quindi da Alessandra Mussolini, ma anche da Francesco Storace. I liberali, insieme con la Lega, sostengono Meloni. Raggi ha avuto le sue grane per le collaborazioni con Cesare Previti e Gianni Alemanno. Ultimo pettegolezzo: l’avvicinamento di Tonino Di Pietro al supergarantista Giachetti.
Jeeg Robot
Infastidita dalle accuse di vicinanza alla destra meno affascinante, Raggi ha informato su quali politici la ispirino: Martin Luther King, San Suu Kyi e Gandhi. Mancava soltanto Jeeg Robot. E siccome in garanzia di legalità la moda di affidare assessorati e commissioni ai magistrati è ormai planetaria, Raggi ha rilanciato: «Potremmo chiamare uno della Guardia di finanza». Col rinnovo del contratto con la Roma, sfumata la prospettiva di Francesco Totti in giunte di centrodestra.
Manifesti
Una delle più imprevedibili novità è la scomparsa, o quasi, dei manifesti. Si vedono molto quelli di Marchini, su cui però c’è scritto «liberi dai partiti» (il Codacons, la più attiva delle associazioni consumatori, ha fatto un esposto per pubblicità ingannevole perché Forza Italia è un partito...). Il Pd ha teorizzato l’estinzione dei manifesti per elevate ambizioni di decoro urbano, ma è il solido sospetto che il marchio non tiri. Giachetti ne ha (pochi) senza simbolo, e comunque «fare la foto è stata la cosa più imbarazzante della campagna elettorale». Di Forza Italia non c’è traccia, in compenso qua e là sono sopravvissuti poster di Bertolaso.
Frugalità
Una volta i candidati affrontavano anche tre cene per sera: l’antipasto in una, lo spaghetto nell’altra e il dolce nella terza. Estinte anche quelle: tutti digiuni e virtuosi.
Fair play
Per fortuna non è una campagna elettorale feroce. Il premio fair play va a Giachetti che ha definito «coraggiosa» Raggi e «onesto» Marchini. Lui, un gentiluomo.