La Gazzetta dello Sport, 6 maggio 2016
Le telefonate di Montanelli a Pantani prima della gara
Il pomeriggio del 27 luglio 1998, un lunedì, alzatosi dopo il consueto riposino, Indro Montanelli si accomodò in poltrona, davanti al televisore, e chiese di non essere disturbato. Il momento era solenne: doveva assistere alla tappa decisiva del Tour, quella che da Grenoble portava a Les Deux Alpes passando sulla terribile salita del Galibier. E doveva sostenere, anche se da lontano, le pedalate del suo campione, Marco Pantani, stargli vicino, aiutarlo, trepidare per lui. Proprio come un tifoso qualunque, anche se «qualunque» Montanelli non era: la mattina, poco prima della partenza, aveva avuto la possibilità, grazie alla complicità di un amico giornalista, di parlare al telefono con il Pirata, di mandargli il suo «in bocca al lupo» e di trasmettergli le sue raccomandazioni di vecchio appassionato. A ottantanove anni, ormai stanco della politica, dei suoi sotterfugi e dei suoi intrallazzi, e sempre meno in sintonia con un mondo che correva a velocità folle in braccio alla tecnologia, il ciclismo rappresentava per Montanelli un’isola di pace, un ritorno all’infanzia, a quando sulle strade polverose dell’Italia si davano battaglia Girardengo e Belloni, l’eterno secondo.
Alla tv Pantani, come un tempo accadde per Merckx, aveva il potere di tenerlo incollato alla televisione. Lo emozionavano la sua azione spregiudicata, il suo coraggio, la sua sfrontatezza. E quella mattina, dopo la telefonata con il Pirata, Montanelli ordinò alla sua devota e religiosissima governante Angela di andare in chiesa a dire una preghiera per Pantani. Quel giorno, pensò, c’era bisogno di tutto per raggiungere la gloria. E, alla fine, la gloria arrivò, in capo a una corsa leggendaria: Pantani staccò il rivale Ulrich sulle rampe del Galibier, soffrì le pene dell’inferno sotto la pioggia gelida, e all’arrivo si prese la maglia gialla che tenne fino a Parigi. Nel salotto di casa sua, quando il Pirata tagliò il traguardo, Montanelli esplose in un urlo di gioia. Aveva vinto anche lui, quel giorno. Era la vittoria della passione, misteriosa come i giochi del destino, perché soltanto la passione può trasformare un signore di ottantanove anni in un bambino incantato dalle imprese di un fuoriclasse.