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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

Rifarsi una verginità per la prima notte di nozze. L’ultima moda tra le musulmane francesi

Primavera, stagione di matrimoni e le telefonate ai reparti di chirurgia plastica degli ospedali pubblici e delle cliniche private si infittiscono. Voci di giovani donne si rincorrono tra il centralino, i reparti, gli studi dei medici specialisti. Alla clinica Mozart a Nizza, all’ospedale Delafontaine di Saint-Denis, all’ospedale di Rennes, ai Chu, centre hospitaliers universitaires, equivalenti ai nostri policlinici, di Parigi, Lione e di tante altre città della Francia.
Che cosa chiedono? Di rifarsi il seno, di arrotondare le labbra, oppure una limatina al naso forse un po’ aquilino? Una liposuzione per togliere quella cellulite di troppo e apparire più sexy agli occhi del futuro sposo? No, le ragazze che telefonano, sempre più numerose ammettono al Cngof, il collège national des gynécologues et obstétriciens français, l’ordine professionale dei medici ginecologi, chiedono una sola cosa: una imenoplastica, la sutura dell’imene, insomma rifarsi la verginità in vista delle nozze.
Si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di giovani donne musulmane, nate, cresciute, educate in Francia, magari con un bac (il diploma di maturità) e un lavoro, che, però, non riescono a resistere alla pressione delle famiglie tradizionali e, per evitare problemi, si rivolgono a un chirurgo plastico per potersi presentare illibate in moschea il giorno del matrimonio. Possibile?
«Sì, è possibilissimo» risponde la signora Raoudha, origini marocchine e responsabile delle pubbliche relazioni della clinica Mozart di Nizza, «in questo momento abbiamo una quindicina di donne in lista d’attesa per un intervento di imenoplastica. Capisco che può fare impressione, che può sembrare una sconfitta soprattutto per noi donne musulmane che viviamo in Francia non nel Sahel, ma è così, bisogna prenderne atto oppure fare qualcosa, ma che cosa?».
Già, che cosa? Vietare per legge un intervento di chirurgia estetica che costa in media 2.600 euro e che il servizio sanitario nazionale rimborsa (fino a 700 euro) se si trova un medico compiacente (e non mancano!) pronto a far passare l’imenoplastica per un intervento di asportazione di un polipo o di una ciste nell’utero?
Partita difficile per diverse ragioni. Già vietare il velo nei luoghi pubblici ha suscitato mille dibattiti e mille prese di distanza su un tema sensibilissimo com’è il rispetto dei precetti religiosi e delle diverse culture in un paese laico e, quindi, rispettoso di tutto.
«Ma questa corsa a rifarsi l’imene prima del matrimonio» incalza un’altra donna medico (e anche lei di origine marocchina), Ghada Hatem, ginecologa all’ospedale Delafontaine a Saint-Denis, banlieu parigina, «non è forse il segnale della mancata integrazione di generazioni di donne nate qui, emancipatesi insieme con le mamme le zie le sorelle, e ora di colpo precipitate all’indietro, nelle più oscure tradizioni familiste e maschiliste delle comunità musulmane?».
La dottoressa Hatem ha una storia da raccontare a dimostrazione di questa marcia indietro, chiamiamola così, di tante giovani donne musulmane che, qui in Francia, sono passate in pochi anni dalla minigonna al velo. «La scorsa settimana» racconta «mi si è presentata una ragazza di 26 anni con il velo e le lacrime agli occhi. Aveva tentato il suicidio dopo una delusione amorosa e quest’episodio l’aveva riavvicinata alla famiglia e alla comunità. Che, ovviamente, per farla uscire dalla depressione le hanno proposto un matrimonio combinato, con un bravo ragazzo, a condizione che lei rispettasse tutte le regole del Corano, a cominciare dalla verginità. E così ha deciso di venire da me, in ospedale, e mi ha chiesto di rifarle l’imene». E la dottoressa Hatem, che ha fatto a questo punto?
«Non mi pare che la verginità sia un requisito richiesto dalla pedagogia del Corano, comunque ho praticato l’intervento perché ho capito che era l’unico modo per salvarla dalla depressione».
Non si tratta di casi isolati, comunque. Anche se non ci sono statistiche, l’ordine dei ginecologi ha fatto qualche rilevazione a campione e qualche ricerca storica. Il risultato è impressionante: una decina di anni fa gli interventi di imenoplastica si contavano sulle dita di una mano (almeno negli ospedali pubblici, unica fonte disponibile), oggi se ne contano almeno tre alla settimana. Che cosa è successo? «Quello che si vede nella copertina del settimanale Le Point di questa settimana» si indigna il dottor Philippe Faucher, ginecologo all’ospedale Trousseau di Parigi, «una regressione civile impressionante delle comunità islamiche a cui la società, la politica, lo stato non hanno saputo dare una risposta».
Per la verità sulla copertina di Le Point si vede un gruppo di belle ragazze con minigonna e camicette sbottonate che passeggiano lungo un viale alberato di Kabul, Afghanistan, anno 1972, sotto il titolo Le monde musulman avant les islamistes (l’Islam prima dell’arrivo degli islamisti radicali). «Ma anche qui in Francia è andata così» incalza il professor Israël Nisand, primario di ginecologia e ostetricia al policlinico di Strasburgo, «rifarsi l’imene prima del matrimonio è una violenza sulle donne pari, in qualche modo alla clitoridectomia. Lo stato dovrebbe vietarlo negli ospedali pubblici e magari denunciare le famiglie, le madri, gli stessi fidanzati, che accompagnano le ragazze in ospedale per l’intervento». «Mi aspetterei un intervento del ministro per la famiglia e i diritti delle donne» conclude il professor Nisand «ma non mi pare che abbia aperto bocca su questo fenomeno».
«Eppure il ministro della famiglia, Laurence Rossignol, è una femminista storica, impegnata da sempre per la difesa dei diritti delle donne» fa sapere con puntigliosità la Ligue française des femmes musulmanes. Per poi chiarire che «non c’è scritto da nessuna parte nel Corano che una donna debba perdere sangue per dimostrare la sua verginità la prima notte di nozze né che la verginità sia una condizione essenziale del buon matrimonio musulmano».
Vero, ma qualcuno, come il dottor Marc Abecassis, ginecologo parigino, ricorda ancora quella sentenza del Tgi, il Tribunal de grand istance di Lille, che annullò un matrimonio per «une erreur sur les qualités essentielles du conjoint», e quell’errore riguardava proprio la verginità della sposa. «Quella sentenza è stata poi annullata in appello» spiega Abecassis «ma da quel momento io mi rifiuto di praticare l’imenoplastica. E così dovrebbero fare tutti i miei colleghi».
Già, ma chi ha il coraggio, oggi in Francia, di fermare in qualche modo questa «pratique archaïque et sexiste», per dirla con le parole della stessa Lega delle donne musulmane?