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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

Meglio mai che tardi, ogni tanto. A proposito di giudici, giornalisti e manettari

Signore onnipotente, spazzali via dalla faccia della Terra. Non è vero che ci si abitua a tutto, non è vero che, con gli anni, il cuore s’indurisce e nulla stupisce più. E i giudici. E i politici. Repubblica che sembra il vecchio Giorno garantista di Paolo Liguori del 1993. Il povero Francesco Merlo che fa autopsia delle cartacce giudiziarie e cita il «giustizialismo mesopotamico» e i «troppi aggettivi» (Merlo!) e poi le canzoni della mala milanese come faceva Bobo Craxi ai tempi di Mario Chiesa. Già, perché «il sindaco di Lodi non dovrebbe stare in carcere» come ha scritto anche Gianluca di Feo, ex cronista del Corriere che, negli anni Novanta, siccome il suo collega Michele Brambilla non era abbastanza forcaiolo, fu mandato a sostituirlo. E poi il buon Michele Serra che sembra Ugo Palmiro Intini e se la prende con la deriva mediatica e linguistica dei magistrati. E poi La Stampa che titola «La democrazia non si salva con le manette». E il maggiore odiatore politico e umano di Bettino Craxi, Marco Travaglio, che è diventato sodale di Luca Josi (uno che stava in auto con Bettino Craxi al Raphael, sotto la pioggia di monetine) e la sera fa il karaoke nel ristorante di Paola Sturchio e di sua figlia, ex regine dei salotti craxiani ed ex amiche intime di Craxi: con le quali io e Josi passavamo nottate molto divertenti a maledire i giudici e a sotterrare documenti. Dice: meglio tardi che mai. Non è vero: meglio mai che tardi, ogni tanto. Dice: il risentimento non serve a niente. Ma non è risentimento, è decenza.