Corriere della Sera, 6 maggio 2016
Cos’hanno le squadre spagnole più delle altre?
La domanda è che cosa hanno gli spagnoli più degli altri. È una domanda lontana come il Real di Di Stefano che è andata crescendo negli ultimi tre anni: su 6 finaliste, 5 sono state spagnole, unica eccezione la Juventus di Allegri. Non credo sia un problema di gioco. Le tre squadre protagoniste giocano in modo diverso. L’Atletico aspetta, ha giocatori bellissimi come Koke e Saul, ma è soprattutto pieno di sentimenti. Cerca lo spazio alle spalle degli avversari, non è formidabile ma è un avversario impossibile per molti, colpisce a sorpresa. Truppe speciali più che un esercito. Il Barcellona è un insieme di teoria e grandi giocatori, non l’equilibrio massimo. Funziona al meglio se costringe allo squilibrio gli altri nello starle dietro. Poi il Real, forse la via di mezzo migliore, non solo funamboli ma anche giocatori di lotta come Ramos, Kroos e soprattutto Modric. Il Real non ha un gioco disegnato a tavolino né un allenatore sacerdote come Simeone. Gioca a soggetto, ma ha l’equilibrio della qualità. Mi sembra la migliore. Ma la domanda resta: cos’hanno in più queste squadre rispetto al resto d’Europa? Credo che la risposta stia in quello che un tempo si chiamava stile, cioè il mix tra mentalità, disciplina e velocità, cioè forza. In Europa di genuino è rimasto solo il calcio inglese, ancora abbastanza vicino all’assalto approssimativo. Il resto è tutto una deriva del calcio spagnolo. Tutti oggi cercano il possesso palla, ma tutti lo fanno solo nella propria metà campo. In sostanza, quello che differenzia l’élite del calcio spagnolo non è solo la qualità individuale. La differenza sta nel concetto di fondo. In Spagna si gioca veloce e si cerca l’uno contro uno. Davanti a una platea di difensori con il tiqui taca o con le frecce solitarie dell’Atletico o con i guizzi di Ronaldo. Si rispetta il calcio in modo non moderno, ma universale. Il calcio è nato come dribbling. Tutto il resto è nato per evitarlo, ma saltare un uomo vale ancora 30 metri di campo. Gli spagnoli, ognuno a suo modo, cercano questo, il duello, perché sanno che solo quello fa spettacolo. E cercando il teatro si allenano a stupire. Il resto è solo una conseguenza.