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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

Angela e Matteo restano divisi dagli eurobond

«Una soluzione innovativa va trovata», ha incalzato ieri il premier Matteo Renzi [sull’incontro Renzi-Merkel leggi anche Il Fatto del giorno]. La proposta italiana di ricorrere agli eurobond (titoli di debito europei) per finanziare il fondo immigrazione ha raccolto un’accoglienza fredda da parte della Germania. Ma il problema resta: servono idee o strumenti nuovi su scala europea per evitare che il debito pubblico a livello nazionale, e non solo quello italiano, lieviti nel tentativo di sostenere come e dove necessario una crescita troppo gracile e per affrontare le emergenze.
Sul fronte degli eurobond, le posizioni di Italia e Germania continuano ad essere distanti. Berlino evidentemente ritiene prematura un’accelerazione nella condivisione dei rischi sovrani in un’Eurozona con andamento del debito pubblico e del Pil dei 19 troppo frammentato: un dato confermato dalle previsioni economiche di primavera della Commissione europea, che vede il debito/Pil tedesco in calo dal 71,5% del 2015 al 66,3% nel 2017 contro quello italiano dal 132,7% al 131,8%.
Ma non è quello degli eurobond l’unico campo dove si annidano divergenze di vedute tra i due Paesi. La lista è lunga da tempo e di recente ha continuato ad allungarsi, anche se ieri di questi nodi Merkel e Renzi non hanno parlato: dal trattamento dell’esposizione sul rischio sovrano delle banche alla tempistica del bail-in, dall’ipotesi di una nuova mission del meccanismo di stabilità Esm al parziale risk sharing nel Qe della Bce, dal diverso modo di affrontare il pericolo Grexit alle potenzialità di una Bei tenuta troppo a freno dal rating AAA, dagli stress test bancari con scenari avversi esasperati dai titoli di Stato all’Unione bancaria in stallo sul terzo pilastro della garanzia unica sui depositi sotto i 100mila euro.
Il cammino di Italia e Germania prende strade diverse dalla famosa passeggiata sul lungomare di Deauville nell’ottobre del 2010, quando Angela Merkel decise assieme a Nicolas Sarkozy una novità assoluta, che gli Stati nell’Eurozona possono fallire spalmando le perdite di ristrutturazioni e default sovrani sui creditori privati. Da allora, lo strappo tra Italia e Germania non si è più ricucito.
L’Italia ha dovuto ingoiare ai tempi del “whatever it takes” di Mario Draghi l’introduzione delle clausole di azione collettiva CACs nei titoli di Stato, sulle nuove emissioni con scadenza superiore a un anno a partire dal 1° gennaio 2013. Queste clausole sono servite a impostare già nei prospetti le modalità tecniche di ristrutturazione del debito pubblico. In un documento recente della Bundesbank, proprio a queste CACs si fa riferimento per introdurre un altro tema divenuto ora controverso tra i due Paesi: la banca centrale tedesca vede bene l’allungamento di tre anni delle scadenze dei titoli di Stato di un Paese che chiede e ottiene l’aiuto del meccanismo di stabilità Esm. Questa proposta ha un obiettivo: evita che il fondo salva-Stati (come avvenuto per Grecia, Irlanda e Portogallo) si faccia carico fin da subito del rifinanziamento del debito in scadenza di un Paese in difficoltà e sostenuto dall’esterno. L’Italia non è d’accordo: l’allungamento delle scadenze in tale maniera fa scattare il default tecnico perché equivale a una ristrutturazione con perdita sul valore facciale per i sottoscrittori creditori.
A cascata, poi, quando la scorsa estate il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha messo sul tavolo delle trattative con Atene l’opzione Grexit, l’Italia ha preso nuovamente le distanze: l’entità del contagio di un tale evento non è stimabile a priori, si tratta di un cosiddetto “tail risk” (rischio estremo) di cui l’Eurozona può fare a meno, è la tesi italiana. Lo stesso vale in questi giorni in merito al dibattito sulla modifica del trattamento di favore riservato ai titoli di Stato nel portafoglio delle banche sollecitata dalla Germania e osteggiata dall’Italia: l’esposizione sovrana ha ponderazione zero per il rischio di credito ed è esente dal tetto sulla concentrazione dei rischi perché questo consente alle banche di giocare un ruolo fondamentale di stabilità assorbendo le ondate di vendite sui titoli di Stato del proprio Paese, ammonisce l’Italia.
Un altro divario tra Italia e Germania relativo ai bond governativi è emerso nel marzo 2015 con il Qe della Bce, che prevede una condivisione dei rischi molto contenuta (il 90% degli acquisti di BTp nell’Eurosistema resta in pancia alla Banca d’Italia). Il mancato risk sharing è un segnale dato all’esterno di un’Eurozona ancora molto divisa e l’Italia non è d’accordo.
Italia e Germania infine non si sono trovate allineate sui tempi di entrata in vigore del bail-in, scattato lo scorso primo gennaio: le banche italiane hanno venduto senior bond alla clientela privata in percentuale maggiore sul totale della raccolta rispetto alle banche tedesche e il sistema-Italia è maggiormente esposto al pericolo di una “fuga” dai bond innescata dal bail-in. La Germania però non ci sta al ritocco.
La guida dell’Esm, della Bei e del Comitato di risoluzione unico è affidata a tre tedeschi convinti europeisti pro-euro, rispettivamente Klaus Regling, Werner Hoyer e Elke Konig. Ma l’impostazione nelle tre istituzioni, non a caso, ricorda più il metodo bastone-carota che non quello delle soluzioni innovative.