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 2016  maggio 05 Giovedì calendario

Giuseppe Verdi tradito dalla storia. Ora una nuova biografia fa giustizia dei cliché sul maestro

«Per parte mia dichiaro che mai, mai, mai nissuno ha mai potuto e saputo trarre tutti gli effetti da me ideati... NISSUNO!! Mai mai... né Cantanti né Maestri». Inizia da questo grido di rabbia, contenuto in una lettera inviata all’editore Giulio Ricordi, il viaggio di Paolo Gallarati per ricostruire la «vera storia» di Giuseppe Verdi: Verdi ritrovato – appena uscito per Il Saggiatore (pp. 592, € 32) – rappresenta l’esito di anni di studio dell’autore, nel continuo confronto tra musica scritta, realizzazione teatrale, letteratura critica.
Dice il sottotitolo: Rigoletto, Il trovatore, La traviata. Alle opere che formano la «trilogia popolare» vengono dedicati ampi capitoli, ma il percorso per restituire Verdi a se stesso inizia da prima, dalla demolizione di alcuni persistenti luoghi comuni; due soprattutto: la povertà della famiglia e l’educazione approssimativa del ragazzo. I Verdi non erano benestanti, ma vivevano con dignità e potevano mantenere agli studi Giuseppe Fortunino Francesco, che ha studiato musica molto seriamente, mentre divorava romanzi e tragedie della migliore letteratura europea, cercando nei libri quelle «precise motivazioni drammatiche senza le quali la sua penna si blocca». Si smentisce così definitivamente l’idea di un artista tutto istinto e niente cultura. Aveva ragione Bruno Barilli: «Verdi è stato il musicista più incompreso del mondo».
Pagine di forte spessore e di appassionata prosa sono dedicate alle opere giovanili. In questi anni, definiti più di «laboratorio» che «di galera», Gallarati insegue tracce della futura maturità, quando, proprio a partire dalla «trilogia», scomparirà «l’eccessiva schematizzazione di fatti e personaggi».
Il Verdi che verrà appare già dalla volontà di articolare in maniera più complessa lo svolgersi formale delle scene, di rifiutare, anche a costo di deludere le attese del pubblico, la poetica del «bello ideale» che rappresentava, ancora per Rossini, l’estetica dominante dell’opera in musica. Verdi non disconosce l’eredità del «bel canto», ma «ne rivela la sostanza espressiva più profonda, aprendo al teatro in musica una strada di non ritorno». Infinite sono le indicazioni fornite da Verdi agli interpreti, per lo più disattese: «Il vizio demagogico di enfatizzare l’espressione attraverso l’abuso del”fortissimo” era già apparso subito fuori controllo».
Il carattere dell’opera veniva alterato sia dagli interventi massacratori della censura (con buona pace di quella new age della critica verdiana che vorrebbe limitarne l’impatto), sia dal frequente «pugilato fra le voci e gli strumenti» (come rileva già nel 1846 il librettista Felice Romani). Bisognerà attendere l’arrivo di Toscanini – la cui figura qui giganteggia – perché il problema della fedeltà all’autore diventi urgente, perché dinamiche, colori, sottigliezze comincino finalmente ad essere rispettati.
Ognuna delle tre opere prese in esame è seguita dalla genesi letteraria alla stesura della partitura, all’esito rappresentativo, entrando nel «cratere creativo» di Verdi. «Rigoletto, Azucena e Violetta ritrovano nell’amore la propria perduta umanità. Ma il loro destino è diverso», conclude Gallarati. Amore troppo violento in grado solo di generare lutti per i primi due, amore che trasforma la prostituta Violetta «in un angelo che vola al cielo», nella conferma, si può aggiungere, che – attratto dal cupo disincanto di Leopardi almeno quanto dalla pietas manzoniana – Verdi comunque ritiene che all’amore non sia concesso diritto di asilo su questa terra.
La considerazione finale dell’autore è ottimista: grazie alla – sia pure lenta – comparsa delle edizioni critiche, alla costante pubblicazione dei carteggi, curati dall’Istituto nazionale di studi verdiani, alla consapevolezza di molti interpreti contemporanei, è in atto una nuova Verdi-renaissance, «con risultati forse mai così vicini a quello che egli avrebbe desiderato».
Verdi ritrovato è dedicato «agli italiani». Perché Verdi è un artista che, nonostante continui ad essere colpevolmente escluso dai programmi scolastici, sta al livello dei massimi nostri creatori; perché gli italiani di oggi lo conoscono ancora troppo poco; perché «di un riscatto culturale e morale il nostro paese ha quanto mai bisogno: riflettere sulla logica costruttiva, la potenza emotiva, i valori artistici e etici che caratterizzano le opere di Verdi e rappresentano la nostra identità, ci può rifornire di energia intellettuale e morale».