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 2016  maggio 05 Giovedì calendario

Chi si oppone alla pubblicazione di un libro su Carlo Caracciolo?

A chi fa paura il mio libro su Carlo Caracciolo, editore di Espresso e Repubblica, che ricostruisce minuziosamente la sua vita, ma soprattutto la sua morte e il periodo successivo alla sua scomparsa, ivi compresa una parte del suo patrimonio? Perché qualcuno vuole impedire di leggere questo volume di 551 pagine divise in 53 capitoli, fitto di documenti, prove e testimonianze, con quasi 900 nomi citati? Il libro è pronto. Si intitola I Caracciolo, Storie, misteri e figli segreti di una grande dinastia italiana. Nel sito dell’editore Rubbettino l’uscita è indicata come imminente (era prevista per la prossima settimana). E infatti anche il Salone del Libro di Torino, indica nel suo programma giorno e ora della presentazione ufficiale: giovedì 12 maggio, ore 14, presso il «Caffè Letterario», ospiti l’autore, Carlo e Marina Ripa di Meana.
Ma tutto all’improvviso sembra essersi fermato ed è in sospeso. Da Torino i dirigenti del Salone si sono riservati di decidere se confermare o no l’incontro già annunciato, ma sembra preferiscano, per fortuna, la libertà di espressione. Comunque sia, emerge una vera e propria censura preventiva, una sorta di “atto di intimidazione” per spaventare chi dovrebbe mandare il volume in libreria e perfino anche chi osasse parlarne sui giornali, sui siti, in tv. La diffida porta la firma dell’avvocato Maurizio Martinetti dello studio legale Ripa di Meana di Roma che scrive per conto e su richiesta di Giacaranda (con la G, e non con la J, e già questa è una notizia...) Caracciolo di Melito Falck Borghese. Si tratta della figlia «adottiva» – si badi bene «adottiva» – di Carlo Caracciolo. L’avvocato – che era il numero due dello studio quando era in vita Vittorio Ripa di Meana, consigliere di Carlo Caracciolo – per conto della sua cliente ha scritto una diffida che suona come un vero e proprio tentativo di censura preventiva e l’ha inviata all’autore, all’editore e, per conoscenza, al Salone del libro.

Censura preventiva? Sì, lo dimostra il fatto che né il legale né la sua cliente dal pluri-cognome conoscono il testo del libro: infatti intimano di consegnare entro due giorni «una copia integrale della citata opera al fine di consentire un esame della stessa prima della sua diffusione e commercializzazione tra il pubblico, fermo restando la contrarietà della mia assistita a qualsiasi pubblicazione di fatti personali e privati». In sostanza, la signora che è in ogni caso contrariata dal volume pur non avendolo letto, vuole fare «un esame» al testo e, qualora non le fosse gradito, come probabile, impedirne e consentirne la diffusione.
Ma di che cosa ha paura la signora, che non è estranea al mondo dell’editoria e dovrebbe quindi avere a cuore la libertà, l’autonomia, l’indipendenza e aborrire la censura? Tra l’altro nelle sue vesti di azionista (e quindi “editora”) dell’Espresso e Repubblica con una quota del 6,7%, la seconda dopo quella di Carlo De Benedetti, nelle sue vesti di iscritta (o ex) all’Albo dei giornalisti, di collaboratrice nella redazione milanese del settimanale di famiglia, e che, come ricorda sorridendo Massimo Fini, «bazzicava l’Indipendente ai suoi inizi, non so in quale ruolo, certamente non contrattualizzata, insieme a una nobildonna napoletana, Januaria Piromallo». E, soprattutto, che cosa sa di questo libro senza averlo nemmeno letto?
Tutto comincia nel pomeriggio di lunedì, quando a Dagospia arriva una mail della casa editrice in cui viene annunciata l’uscita del libro, viene allegata la copertina e l’indice dei capitoli. Si propone a Roberto D’Agostino di sceglierne qualcuno, qualora fosse interessato ad avere un’anteprima. Chissà come, l’indice finisce nelle mani della signora, che ha recentemente posato – suscitando l’ironia di tutta una certa Roma e senza che nemmeno Dagospia stranamente se ne accorgesse – sul settimanale spagnolo di gossip Hola insieme alla figlia quindicenne nella casa di Carlo Caracciolo in via della Lungarina a Roma.
Dal solo esame dei titoli dei capitoli, e leggendo la scheda del libro sul sito dell’editore, la signora ha deciso di attivare e “scatenare” l’avvocato Martinetti, già esecutore testamentario del principe defunto e, in tale veste, autore di alcune operazioni post mortem come «l’esercizio del famoso put del 24 dicembre 2008» riguardante 15,6 milioni di euro e la vendita di un pacchetto di azioni dell’Espresso (con una perdita secca di oltre 10 milioni di euro, come ha rivelato Il Mondo). Martinetti, che è anche stato al vertice di Eurosanità, la holding di Ciarrapico-Caracciolo nel settore delle cliniche, aveva preso il posto del principe nel Cda del gruppo editoriale dopo la sua morte, il 15 dicembre 2008. In quella occasione l’avvocato risultava anche presidente di sette società del Gruppo Ciarrapico (3C, Eurosanità, Roma Nord Sanitaria Immobiliare, Roma Ovest Sanitaria Immobiliare, Romana Investimenti Immobiliari), presidente de La Grande Cucina, presidente e socio unico di Sia (Società Immobiliare Agricola Srl), consigliere di amministrazione della Fondazione Torrecchia Vecchia, di Oxygen Spa, di Finegil Editoriale, di Cd Investments Srl, oltreché revisore dei conti della Fondazione Mario Formenton, liquidatore e unico socio della società Tenuta di Torrecchia Srl. Oltre a sedere nel cda dell’Espresso, ha continuato per un certo periodo a esserne consulente legale e ciò gli ha permesso, come ha scritto Il Sole 24 Ore, di ottenere quasi 850 mila euro all’anno, di cui 25 mila per il primo incarico e 825 mila per il secondo.

Tornando al libro, alcuni dei capitoli sono molto intriganti. Ho infatti ricostruito, attraverso testimonianze di numerose signore milanesi e romane, le storie piene di intrighi e retroscena che riguardano le famiglie Falck, Caracciolo, Pasolini dell’Onda, Visconti di Modrone e, in particolare, la storia che riguarda i due figli “veri” di Carlo Caracciolo: Carlo Edoardo e Margherita Revelli. La cui vera paternità venne rivelata dalla loro madre a 40 anni di distanza: in accordo con Carlo Caracciolo avevano mantenuto quel segreto per un lunghissimo tempo. Ma alla fine emerse la verità, Caracciolo confermò tutto, volle recuperare con i due figli il tempo perduto, e diede loro i consigli necessari per arrivare a ottenere il riconoscimento e il cognome di famiglia (che arrivò nel 2013 dopo sei anni di processi, esami del Dna, cremazione di quattro cadaveri della famiglia per cancellarne il codice genetico, deposizioni illustri e qualche testimonianza “smascherata” in aula).
Dall’altra parte, di fronte a due figli veri, c’era e c’è una figlia adottiva. Ed è molto strano che i ruoli si siano capovolti: i figli veri sembrano “abusivi”, la figlia adottata sembra la titolare unica. Non a caso la diffida dell’avvocato Martinetti non viene fatta a nome anche di altri membri della famiglia Caracciolo. E infatti sia i fratelli di Carlo, Nicola ed Ettore Rosboch, sia altri esponenti del casato hanno collaborato fornendomi la loro testimonianza. La parte più temuta del libro probabilmente – siamo nel campo delle ipotesi – è quella che, attraverso pareri legali e giurisprudenza, rivela che secondo la legge italiana un padre naturale non può adottare una figlia biologica. Come avvenne per Caracciolo nei confronti di Giacaranda Falck, a opera del Tribunale di Roma nel marzo 1996. I casi sono due: o Giacaranda era davvero la figlia di Caracciolo (come lei e la madre hanno sempre sostenuto in numerose interviste) e allora, in tal caso, non poteva essere adottata da suo padre nel modo in cui tale adozione è avvenuta (ed è quindi nulla e annullabile). Oppure era figlia di Giorgio Falck: solo in questo caso avrebbe potuto essere adottata, ma sia lei che sua madre hanno più volte affermato che non era figlia del famoso imprenditore dell’acciaio e appassionato di vela (per questo Anna Cataldi, poi prima moglie di Urbano Cairo, venne mezzo cacciata dal palazzo di famiglia).
Un intreccio che avrebbe molte conseguenze, a cominciare, per una certa quantità di patrimonio caraccioliano, dalla qualifica di “erede”, dalla titolarità di azioni del gruppo editoriale, fino a eventuali ripercussioni nella prossima, imminente operazione di incorporazione de La Stampa e Secolo XIX nel Gruppo Espresso-Repubblica. Un intreccio dunque che sarebbe interessante tutti potessero conoscere, senza censure preventive e tentativi di intimidazione. Visto che in Italia esistono ancora, specie per le questioni aventi un rilievo e un interesse pubblico, la libertà di stampa, il diritto di cronaca, il diritto all’informazione, la libertà di manifestazione del pensiero. E sembra davvero strano che proprio l’“editora” di Repubblica e dell’Espresso non ne tenga conto.