la Repubblica, 5 maggio 2016
Quei trentamila irriducibili che ancora giocano al Totocalcio
Giocare su un gioco, scommettere sull’aleatorio movimento del pallone. Vincere e cambiare vita. Eravamo così. Come Emilio Biasotti, di mestiere dipendente di un’azienda farmaceutica che il 5 maggio 1946 indovinò tutto ciò che l’indomani sarebbe successo su 12 campi di calcio. Internazionale- Juventus 1, Torino- Milan 1, e poi una sfilza di pareggi, e poi quell’unico 2, il Novara che vince sul campo del Legnano. Non era nata ancora la Repubblica italiana, ma era nata la schedina Sisal (si chiamerà Totocalcio dal ‘48), la prima fu quella che fece urlare il signor Biasotti, l’unico dodicista dei 34mila primi giocatori, 426mila lire la vincita, roba da comprarsi una casa. Settant’anni fa.
La Sisal era nata pochi mesi prima, l’idea fu di Massimo Della Pergola, un giornalista. Dell’Italia, oltre ai palazzi e al morale, si doveva risollevare lo sport, servivano gli stadi, il pallone doveva tornare a rotolare. L’idea, geniale e semplice, a Della Pergola venne durante il suo periodo di prigionia in Svizzera. Scommettere sui risultati delle partite di calcio. 12 all’inizio, 13 dal 1951, un numero poi diventato un modo di dire, proverbiale come quell’oggetto rettangolare e nazionalpopolare come pochi.
Il 70° compleanno dell’1X2 sarà festeggiato con la nascita di un sito che ne percorre attraverso documenti, immagini, cimeli l’epopea, anche attraverso le vite degli uomini che spinsero l’Italia a scommettere sul pallone. «Nei primi due anni di vita del concorso sono state stampate e lanciate più di due miliardi e mezzo di schede. Per trasportarle, occorrerebbero 250 carri ferroviari, cioè cinque treni completi, di 50 vagoni ciascuno» si legge sulla prima pagina di Sport Italia, il giornale che accompagnava e consigliava i potenziali tredicisti. Non solo Totocalcio: nella famiglia Sisal c’era anche il Totip, e poi, negli anni, Totogol, Superenalotto, Totosei. Il momento più alto del Totocalcio venne nei primi anni Novanta: il massimo montepremi raggiunto fu di 34,4 miliardi di lire, sparsi però tra i 1.472 tredicisti della domenica, che finirono per vincere “appena” 12 milioni di lire. Un mese prima invece la vincita record: in una ricevitoria di Crema un sistema fruttò ai suoi tre scommettitori la bellezza di 5 miliardi di lire.
Da allora la schedina ha iniziato la sua rapida discesa. Affiancato da altre fonti di fortuna, cannibalizzato dall’avvento delle scommesse, lasciato anche dal Coni nel 2002, il Totocalcio è diventato nel tempo un prodotto di nicchia, appannaggio solo di ostinati fedelissimi. I numeri degli ultimi anni sono impietosi: nel 2010 la raccolta totale si attestava sui 98 milioni di euro. Appena 5 anni dopo, il dato era già crollato a 28. Nei primi 4 mesi del 2016 il Totocalcio, oggi basato su 14 pronostici e una serie di possibili vincite intermedie, si è fermato a 10 milioni. Squartata dalla frammentazione della giornata calcistica, con pochissima serie A e molta Lega Pro, la schedina non accende più la fantasia degli italiani. L’ultimo concorso, quello del 1° maggio, ha registrato numeri desolanti: 36mila schedine giocate (quasi come il 5 maggio ‘46), un montepremi di 150mila euro, nessun 14, due 13 da 18mila euro (nemmeno malaccio in fondo), 32 dodicisti.
Oggi la schedina è roba da museo. A proposito, ce n’è uno, a Peschiera Borromeo, vicino Milano: si chiama Meic (Memoria, evoluzione, identità condivisa), è visitabile su prenotazione. Così giocavano gli italiani.