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 2016  maggio 05 Giovedì calendario

Ritratto di Pino Maniaci, che si atteggiava a telepredicatore antimafia

Che dietro al volto dell’eroe senza macchia potesse nascondersi altro in realtà si sussurrava da tempo. Da quando, nel 2008, Giuseppe Maniaci, Pino per gli amici, denunciò di avere subito un’aggressione, accusando il figlio minore del boss di Partinico Vito Vitale. Qualche investigatore, fuori microfono, sussurrò che la mafia con quell’intimidazione non c’entrava nulla. Dubbi solo accennati che non riuscirono però a fermare la grancassa e la parabola che ha portato un ex imprenditore edile con precedenti giudiziari di tutto riguardo ad assurgere a simbolo della lotta ai clan. Un crescendo di fama e onori fino al capitombolo giudiziario di ieri e all’inchiesta per estorsione che ha svelato per l’ennesima volta le ombre di un’antimafia di cartone.
Classe ’53, aria di chi non fa sconti, Maniaci rileva nel 1999 l’emittente tv di Partinico Telejato. In poco tempo diventa un personaggio. Colleziona querele – 200 solo nel 2004 – e minacce, tutte denunciate alle forze dell’ordine. La fama di vittima dei clan, contro i quali si scaglia in molti suoi servizi televisivi, arriva presto. Il mondo dell’informazione e della politica si schiera compatto al suo fianco.
TUTTI AL SUO FIANCO
Per manifestargli vicinanza Lorenzo Del Boca, allora presidente nazionale dell’ordine dei giornalisti, Franco Siddi, segretario della Fnsi, e il presidente dell’Unci, Guido Columba, mettono su una sorta di maratona televisiva alternandosi alla conduzione del tg di Telejato. E arrivano i premi. Come il “Francese”, in memoria del cronista del Giornale di Sicilia ucciso dalla mafia. Lui incassa riconoscente. Salvo commentare con l’amante, non sapendo di essere intercettato: «A me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi».
Parole sprezzanti e fare aggressivo che ha sempre ostentato. Come quando, nel 2008, viene rinviato a giudizio per esercizio abusivo della professione giornalistica, accusa da cui sarà poi assolto. «Solo invidia di qualche collega. Semplicemente non ho avuto tempo di iscrivermi all’Ordine», replica, smentendo che a impedirgli di fare domanda sia stata la lunga sfilza di precedenti penali elencati nel suo casellario giudiziale. Sentenze di condanna per furto, truffa, ricettazione, accuse di bigamia e perfino esercizio abusivo della professione sanitaria. Dopo qualche mese arriva l’iscrizione all’Ordine. Sull’onda della fama ormai raggiunta, le campagne tv proseguono e non cessano le denunce di intimidazioni: lettere di minacce, l’uccisione dei cani (l’inchiesta della Procura ne svelerà la vera causa) e nel 2012 l’incendio dei ripetitori dell’emittente tv. Continuano le solidarietà: anche il premier Renzi lo chiama. Davanti ai microfoni il giornalista ringrazia commosso. Dietro le quinte, non sapendo di essere intercettato, ci va giù pesante: «Mi ha telefonato quello str...». Maniaci sa, dicono i magistrati, che almeno una delle intimidazioni subite, l’assassinio dei cani, con Cosa nostra non c’entra nulla. Dietro al gesto c’è la vendetta del rivale in amore, il marito dell’amante. «Ci giochiamo la mafia, mi devono dare la scorta», dice cinico sapendo bene chi è l’autore del gesto. Nel 2014 l’organizzazione no-profit Reporters Sans Frontières in occasione del World Press Freedom Day, la giornata internazionale della libertà di stampa, lo inserisce nella lista dei 100 cronisti coraggiosi. Quando qualche settimana fa apprende di essere indagato rilancia, come è nel suo stile. «Pago le mie denunce sulla mala gestione delle misure di prevenzione a Palermo», dice facendo credere a una non precisata vendetta della Procura. Procura che, invece, lo indaga da due anni, ben prima che cominciasse la sua ultima crociata in tv.