Corriere della Sera, 5 maggio 2016
A Nibali piacciono molto le salite di questo Giro
L’avevamo lasciato a Brescia, seduto su uno scranno fucsia da tronista timido, con il bacio della miss su una guancia e l’enorme coppa del Giro d’Italia in pugno. Si era preso la maglia rosa nella crono e, proteggendola dalla neve delle Tre Cime di Lavaredo, non se l’era più sfilata. Correva – anzi, pedalava – l’anno 2013. Dopo, solo dopo, sarebbero arrivati la piccola Emma e il gigantesco Tour (2014), le vicessitudini dell’anno scorso e la voglia di ricominciare il viaggio da capo, riannodando il filo del Giro per provare a riprendersi tutto (più l’oro olimpico di Rio), con gli interessi.
Il nuovo Vincenzo Nibali, a 31 anni, sembra il gemello nervoso di quel siciliano ambizioso e fiero. Chiamato a vincere il Giro numero 99 contro l’attempato esordiente Valverde e il baby Landa, senza il campione uscente Contador, sente la gara come uno squalo famelico l’avvicinarsi di un bagnante con i braccioli, pronto a sbranarlo. Ventuno tappe, dall’Olanda alla Calabria, attraverso le Alpi fino a Torino, per saziarsi. Finalmente.
Nibali, che Giro si aspetta?
«Difficilissimo. A 48 ore dal prologo di Apeldoorn mi chiedo: sarà teso? Capriccioso? Freddo? Di certo sarà tanti Giri in uno: dall’Olanda con le sue strade piene di rotonde e spartitraffico, dove mi aspetto un gran caos, al Sud dell’Italia; con le salite, poi, la corsa si assesterà. Aspettando di capire, resto con i piedi per terra».
Senza giri di parole: come sta?
«Non lo so. So che ho lavorato molto, bene e intensamente. Però dico la verità: al Trentino ho sofferto. Dopo la Liegi sono tornato a casa per l’ultima rifinitura e per recuperare in famiglia. D’ora in poi non ci sarà più tempo per pensare. Arrivo allenato, lotterò fino all’ultimo metro ma vincere sempre non è facile. E ho la sensazione che la gente si aspetti soprattutto questo da me».
Molte vittorie, molto onore. E grandi responsabilità.
«Io non mi sento granché cambiato dal Vincenzo che vinceva il Giro 2013, però è di certo cambiata l’attenzione nei miei confronti. Ora se arrivo quarto al Tour scrivete che sono andato male... Ripeto: non si può vincere sempre, è disumano».
Attaccare prima delle montagne sarà possibile?
«Al Giro non ci sono grandi strategie. Nell’ultima settimana di salita ce n’è tanta, e mi piace. Se starò bene mi farò vedere al momento giusto».
La rabbia accumulata nel 2015 e alla Tirreno di quest’anno è un’arma in più da scaricare sui pedali?
«La Vuelta non dovevo correrla, sono stato quasi forzato. La storia la conosciamo: cado, rimango indietro anche per problemi meccanici, poi la tirata di ammiraglia di Shefer, colpa sua. È stato il momento buono per dire: stacco, mi godo Rachele ed Emma. Ero arrabbiato, certo. Quanto alla Tirreno...».
Dica.
«Hanno detto: abbiamo annullato la tappa di monte San Vicino per problemi di sicurezza. Ma quel giorno la neve non c’era. Situazione simile alla Liegi però lì per tutti, e sottolineo tutti, l’obiettivo era fare la corsa: anche se fosse arrivato un tornado, tutti volevano correre. Comunque, anche se avessi vinto la Tirreno, la mia carriera non sarebbe cambiata».
Al Giro più temibile Valverde o Landa?
«C’è una differenza sostanziale: Valverde ha un’enorme esperienza di grandi giri, Landa non ne ha mai vinto uno».
Teme che Aru abbia potuto rivelargli qualche suo inconfessabile segreto?
«Io e Landa siamo stati compagni in Astana, mi conosce. E sa che non ho segreti».
Cosa terrà sul comodino da Apeldoorn a Torino?
«Computer e telefonino, per le videochiamate a casa. Emma è raffreddata, ha un po’ di influenza: non so se la vedrò durante la corsa».
Peggio un avversario dopato o con il motorino?
«Sono due situazioni bruttissime. Mi fido dell’Uci: spero che i controlli arrivino».
Quando sapremo cosa farà Vincenzo Nibali da grande?
«Restare in Astana o no dipenderà molto dai risultati. Dopo il primo agosto, vi dirò».