La Stampa, 4 maggio 2016
La Nasa premia le idee più folli
Salire su un asteroide, imbullonarci un super-motore e trasformare quel corpo celeste in una gigantesca astronave. Vi sembra un’idea assurda?
E invece la Nasa la sta prendendo in seria considerazione, assieme ad altri 12 progetti estremi. Questa dell’asteroide-nave spaziale è solo una delle proposte selezionate per l’anno 2016 dal bando «Nasa Innovative Advanced Concepts». Il programma esiste dal 1998 e l’agenzia spaziale americana lo usa come laboratorio di ricerche ardite che il responsabile del programma, Jason Derleth, definisce «ai limiti della fantascienza, eppure fermamente ancorate alla realtà scientifica».
Esaminiamo uno dei più concreti fra i progetti selezionati quest’anno. Si tratta di trovare il modo di inviare sulla superficie di Venere delle sonde capaci di lavorare e di inviare dati per più di quel paio d’ore che sono durati gli apparecchi mandati finora sul pianeta. L’ambiente di Venere, infatti, è molto ostile. Nubi densissime, unite a un mega-effetto serra, creano un calore che fonde entro due ore le batterie in cui viene immagazzinata l’energia. Inoltre il buio pesto prodotto dalle stesse nuvole toglie la possibilità di generare in loco elettricità fotovoltaica, cioè di sfruttare i raggi di un Sole che qui risulta praticamente invisibile. Eppure, se si vuol condurre una missione seria su Venere, è al suolo che bisogna scendere, per fare rilievi, analisi chimiche e così via.
Come si affrontano queste sfide? Un modo possibile è insistere sulle strade già tracciate e, quindi, cercare di produrre, man mano, batterie in grado di resistere a temperature sempre più alte (da scartare a priori l’uso di apparecchi di refrigerazione, perché, come è noto, la refrigerazione consuma moltissima energia e allora il cane si morde la coda). Ma se con anni di sforzi in laboratorio, e spendendo milioni di dollari, si riuscisse ad allungare la durata delle batterie fino a quattro, o magari anche a otto ore, non sarebbe un grande risultato. L’alternativa a questa costosa ma poco utile ricerca di miglioramenti incrementali è provare a pensare in maniera completamente diversa.
E qui trova la sua ragion d’essere il progetto «Vip-Inspr». La sonda venusiana dovrebbe «appoggiarsi» alle nubi del pianeta con un pallone aerostatico. Così potrebbe compiere diverse operazioni senza i vincoli della pressione e della temperatura, che ad alta quota non sono eccessive neanche su Venere. La sonda avrebbe anche la possibilità di aprire dei pannelli fotovoltaici e così generare elettricità. Ma attenzione: fin qui niente di geniale, perché poi che cosa si fa con questa elettricità? Ci si carica la batteria di un’altra sonda che poi si spedisce al suolo? Il limite delle poche ore di operatività su Venere non verrebbe superato, in questo modo.
Invece l’idea innovativa del progetti «Vip-Inspr» consiste nell’usare l’elettricità fotovoltaica generata in quota per produrre idrogeno attraverso l’elettrolisi del vapore acqueo delle nubi. Poi quest’idrogeno verrebbe immagazzinato in una piccola bombola e messo sulla sonda da spedire al suolo. Quest’altra sonda avrebbe un corredo di celle a combustibile, che, bruciando l’idrogeno, produrranno energia da consumare subito, senza immagazzinarla in una vulnerabile batteria. Buona idea, no?
Un altro progetto punta all’esplorazione degli oceani sotto la coltre di ghiaccio di Encelado e di Europa (lune di Saturno e di Giove): il team che ci ha lavorato propone una sonda a tre stadi, che atterra sulla luna gelata, poi rilascia un apparecchio di scavo (magari capace di sfruttare il varco aperto nella crosta di ghiaccio da un vulcano), che a sua volta sgancia un mini-sommergibile, idoneo a navigare in quel mare.
C’è anche un progetto di astronave a fusione nucleare capace di arrivare su Plutone in appena sei settimane invece dei nove anni che ha richiesto la missione «New Horizons». Ma riconsideriamo con attenzione il progetto di motore spaziale a cavallo dell’asteroide: potrebbe salvare l’umanità. Tornerebbe utile, infatti, non solo per usare il corpo celeste come astronave ma anche, più concretamente, per deviare dalla sua rotta un eventuale asteroide che puntasse sulla Terra con l’intenzione di farci fare la fine dei dinosauri.