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 2016  maggio 03 Martedì calendario

È iniziata la caccia al pacchetto Rcs della famiglia Agnelli

Da domenica è diventata efficace la scissione a favore del veicolo olandese Interim One Bv che di fatto decreta l’uscita di Fca (16,73%) da Rcs Mediagroup. Contestualmente è stata anche definita la liquidazione della scatola a cui il Lingotto ha girato le azioni del gruppo editoriale di via Rizzoli per la successiva distribuzione dei titoli a tutti gli azionisti della casa automobilistica guidata da Sergio Marchionne.
Alla holding Exor andrà il 5% della partecipazione iniziale, mentre il resto sarà frazionato tra tutti i soci di Fca. Tra questi ultimi, alcuni fondi internazionali (Baillie Gifford, Harris, BlackRock, Vanguard e così via) e investitori istituzionali (People’s Bank of China, Deutsche Bank  o Banca d’Italia) presumibilmente usciranno subito di scena vendendo sul mercato. Così come molto probabilmente farà Marchionne, attualmente titolare dell’1,13% del capitale di Fca. «Abbiamo raggiunto una pulizia strategica del gruppo; il settore (editoriale, ndr) non è materia nostra, in quanto tecnicamente non ha nulla a che fare con l’auto», ha dichiarato l’amministratore delegato del Lingotto. «Sono passati i momenti in cui era importante averlo», ha aggiunto riferendosi al pacchetto azionario di Rcs, casa editrice anche e soprattutto del Corriere della Sera.
Sta di fatto che ora il mercato scommette sul posizionamento dei vari attori in campo (Urbano Cairo in questa fase non può muoversi, dal momento che ha ufficialmente annunciato l’ops), a partire da Diego Della Valle, che ora è il primo socio della casa editrice con il 7,32% e che ha già dichiarato di essere pronto a incrementare la partecipazione.
Mentre chi non sarà della partita, nonostante le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi, è la famiglia Pesenti. «Assolutamente no; siamo già usciti ai prezzi più alti», ha dichiarato ieri Carlo Pesenti, il cui padre Giampiero era presidente del patto di sindacato di Rcs prima che venisse disdetto per dare il via all’aumento di capitale da 400 milioni, primo step del lungo processo di ristrutturazione della società, ancora non completato. Fuori dai giochi sarebbe anche Andrea Bonomi (Investindustrial), da mesi tirato per la giacca per un eventuale coinvolgimento. Mentre Mediobanca  ha confermato ancora una volta di non essere il regista di una possibile contro-opa rispetto all’ops annunciata dalla Cairo Communication (assistita dagli advisor Banca Imi, Equita e dallo studio legale Bonelli Erede) lo scorso 8 aprile. «No, non sono preoccupato. Vediamo che cosa succede», ha dichiarato al proposito ieri il patron di La7 e del Torino Calcio.
In questo scenario ieri le azioni di Rcs  sono schizzate, risultando tra le migliori di Piazza Affari: +4,8% a 0,59 euro, ben sopra il livello implicitamente assegnato (0,527 euro) dall’offerta pubblica di scambio della Cairo Communication. Anche se va detto che la settimana scorsa le azioni dell’azienda presieduta da Maurizio Costa e guidata dall’ad Laura Cioli avevano perso terreno. Un ottovolante che non ha spiegazioni concrete, come sostengono gli analisti. La ripresa del titolo, secondo alcuni osservatori, è legata anche al miglioramento della gestione evidenziato dai conti del primo trimestre. Sta di fatto che il rialzo in borsa del titolo Rcs  fa inevitabilmente perdere appeal all’ops di Cairo. Non va infine trascurata la speculazione legata all’ipotesi di un miglioramento delle condizioni dell’offerta (ora al vaglio della Consob) che potrebbe portare l’editore piemontese e gli advisor a prendere in considerazione due opzioni: l’incremento dell’ops, magari con un conguaglio cash, oppure la fusione delle due società una volta completata l’operazione. Lo stesso Cairo però al momento smentisce questa seconda possibilità, anche perché lui, titolare del 4,72% di Rcs, potrebbe accontentarsi di un’adesione minima all’ops per arrivare complessivamente alla soglia del 30% del capitale rispetto al target prefissato del 50% più un’azione. Questo secondo scenario però porterebbe alla formazione di due fronti contrapposti nell’assetto proprietario del gruppo editoriale di via Rizzoli, visto che al momento c’è uno zoccolo duro, composto da Mediobanca, Della Valle, Pirelli e UnipolSai (complessivamente detengono il 22,55% della casa editrice), pronto a non aderire all’offerta di Cairo.