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 2016  maggio 03 Martedì calendario

È tempo di tornare a fare affari con l’India

Avrebbe potuto accadere prima se la pletora dei governi italiani, che indirettamente o direttamente si sono occupati del caso, avessero percorso subito la strada dell’arbitrato internazionale. Superficialità, orgoglio nazionale e ignoranza rispetto alle complessità e alla determinazione del Paese con cui avevamo a che fare, hanno invece trasformato la vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in una storia che non è ancora finita.
Forse sarebbe già finita da tempo se, per esempio, nel marzo 2013 il ministro degli Esteri Giulio Terzi (governo Monti) non avesse deciso di non far ripartire i due marò ai quali il governo indiano aveva concesso di tornare in Italia per votare. L’iniziativa creò un solco di sfiducia fra India e Italia che non fu più possibile colmare. Di fronte alla brutta figura internazionale, poi il governo decise di far partire i nostri due marinai. Non contento, Terzi fece un uso politico del destino dei due marò, decidendo pochi giorni dopo alla Camera, in diretta televisiva e senza preavvertire i colleghi di governo, di dare le dimissioni in dissenso con quanto era stato deciso: più che a Latorre e Girone, il ministro pensava al suo futuro politico e a come uscire con il botto da un esecutivo ormai morente.
Probabilmente questa vicenda non sarebbe mai iniziata se il ministro della Difesa Ignazio La Russa (governo Berlusconi) non avesse ascoltato i suoi generali, senza imporre il suo primato politico. Per garantire la difesa dei nostri mercantili dall’attacco dei pirati, lo stato maggiore aveva escogitato una bella idea: noi mettiamo a bordo i militari e gli armatori privati pagano. Nessuno aveva previsto di dare una garanzia legale internazionale per i nostri militari in caso di incidenti. Complimenti a tutti.
Ma questo è parte della lunga storia incominciata con la morte di due pescatori innocenti del Kerala e l’ordalia giudiziaria di Girone e Latorre: in più di quattro anni le autorità indiane non hanno mai formalizzato un capo d’accusa. È il passato. Ora, dopo aver fatto la prima cosa giusta – affidarsi all’arbitrato internazionale – il governo deve farne un’altra.
Finalmente entrambi i marò attenderanno in Italia il giudizio finale del Tribunale internazionale del mare di Amburgo. Passeranno due, tre anni per conoscere il verdetto. Tutto questo tempo non deve essere dedicato solo agli aspetti legali per rendere liberi una volta per tutte i due marò, ma a ricucire le relazioni politiche ed economiche fra Italia e India, profondamente danneggiate dalla vicenda. È significativo che, commentando il ritorno a casa di Girone, Matteo Renzi ne abbia approfittato «per mandare un messaggio di amicizia al popolo indiano». E che anche la Farnesina nel suo comunicato conti «su un atteggiamento costruttivo dell’India anche nelle fasi successive».
Prima del gelo causato dall’incidente in Kerala, l’interscambio commerciale che l’Italia aveva con l’India – 1,2 miliardi di abitanti – era uguale a quello che abbiamo con la Polonia – 39 milioni. Il Pil pro capite dei secondi è più alto di quello dei primi, ma non abbastanza da giustificare la mediocrità dei nostri scambi economici con il gigante indiano. In questa fase storica le opportunità italiane non sono così certe a Est del Mediterraneo. Con l’Egitto è tutto congelato, con la Turchia quasi. Con entusiasmo puntiamo sull’Iran, ma le incognite restano ancora più solide delle certezze politiche di quel Paese. Riprendere i contatti con l’India, anche ad alto livello, e intensificare gli affari, creerebbe quell’ “ecosistema” necessario per ricostruire fiducia e chiudere la vicenda dei due nostri marò.