CorrierEconomia, 3 maggio 2016
Ma la Fed deve rendere conto o no al Congresso? Le idee di Trump, i dubbi di Hillary e la guerra d’indipendenza della Yellen
La prossima battaglia della Federal Reserve non si combatterà sul fronte della politica monetaria, bensì su quello dell’indipendenza. Dopo anni di affinità con l’inquilino della Casa Bianca, complice la crisi subprime, il rapporto potrebbe rompersi. Lo spauracchio è quello della rendicontazione, o audit, al Congresso di ogni azione della banca centrale guidata da Janet Yellen. Donald Trump la vuole a tutti i costi, Hillary Clinton sta ponderando di introdurla al fine di arginare il sentimento anti establishment del miliardario newyorkese.
Finita l’esperienza presidenziale di Barack Obama, il presidente della Fed potrebbe fronteggiare il rischio di essere meno indipendente dai voleri della politica. Si tratterebbe, come si dice nei corridoi dell’Eccles Building di Washington, il quartier generale della Fed, della più significativa ingerenza della politica in tutta la storia dell’istituzione nata il 23 dicembre 1913.
Mai è successo infatti che la banca centrale statunitense sia stata costretta a rendere conto delle sue azioni di politica monetaria al Presidente o al Congresso.
RepubblicaniIl più agguerrito dei candidati presidenziali è Donald Trump. Secondo il magnate che ha sparigliato i Repubblicani, «la Fed è già politicizzata». Nello specifico, Trump ha parlato di una «specifica attitudine della Yellen e tenere i tassi bassi in modo da favorire Obama». Questo perché, per Trump, «Obama non vuole avere una recessione durante la sua amministrazione». Concetti ripetuti più volte, anche nella capitale statunitense. Pertanto, Trump vuole che la Fed sia sottoposta a una verifica del Government accountability office (Gao), la branca investigativa del Congresso in materia di valutazione delle politiche pubbliche. Il tutto ignorando che la Fed già è oggetto dell’audit di società indipendenti, come Deloitte Touche, l’attuale controllore designato.
Trump però si è spinto oltre. Cercando di cavalcare le emozioni anti establishment delle fasce americane più deboli, ha inserito ai primi posti della sua agenda la possibilità che ogni riunione di politica monetaria della Fed passi al vaglio del Congresso. In pratica, le scelte e le votazioni del Federal open market committee (Fomc), il braccio operativo della Fed, potrebbero essere messe in dubbio dai membri del Campidoglio. I quali potrebbero anche, nell’ottica di Trump, fare pressioni sulla Fed al fine di stimolare, o rallentare in caso dell’evidenza di bolle sui prezzi di alcuni asset, l’economia statunitense. Al grido di «l’America deve decidere all’unisono su come gestire la politica monetaria», Trump vuole quindi rivoluzionare l’assetto della banca centrale, sottoponendola alla vigilanza del Congresso.
DemocraticiPiù effimero è invece l’atteggiamento dell’ex Segretario di Stato. Finora la Clinton ha parlato poco di Fed, focalizzandosi sul ruolo che dovrebbe avere l’industria bancaria privata. La Clinton, affermano fonti a lei vicine, non ha mai pensato di mettere in discussione l’indipendenza della Fed, ma starebbe pensando di introdurre una versione leggera di sorveglianza da parte del Gao, e quindi del Congresso. Nessuna verifica mensile sui meeting del Fomc, ma un più serrato controllo annuale. Il tutto con l’obiettivo di catalizzare parte degli indecisi nel caso, sempre più probabile, di uno scontro diretto con Trump nella corsa per la Casa Bianca. Se così fosse, per la Yellen cambierebbe poco. In realtà, il rapporto tra la Clinton e il mondo della Fed è equivocabile. Uno dei membri del Board of governors, Lael Brainard, ha effettuato tre diverse donazioni, l’ultima a inizio febbraio, al comitato per la campagna elettorale dell’ex First lady. Il valore complessivo? 2.700 dollari, il massimo a livello personale. Una mossa, verificabile negli archivi federali, che ha fatto e continua a far discutere sia fuori sia dentro la Fed. «È stato sconveniente, dato che l’opinione pubblica può legittimamente domandare quale sia l’effettiva indipendenza di uno dei membri della Fed», fa notare una fonte governativa statunitense.
Da oltre un anno e mezzo la Fed e i componenti del Fomc non mancano di ricordare che l’indipendenza della banca centrale in tema di politica monetaria non deve essere messa in discussione. E lo sta facendo anche attraverso una massiccia operazione di lobbying sul fronte dei think tank. L’ultimo esempio è stato quello di Ben Bernanke, predecessore di Yellen, che dalle colonne del suo blog edito per la Brookings Institution ha difeso la Fed dalle pressioni della politica, e di Trump soprattutto.
«Dovesse passare la linea Trump, la Fed dovrebbe rispondere al Congresso, che potrebbe manipolare l’economia per i suoi interessi politici. Si desidera questo?», dice a denti stretti un alto funzionario della Fed dietro anonimato. L’ultima versione del conflitto tra economia e politica è già iniziata.