Libero, 30 aprile 2016
L’Italia paga i suoi debiti, la Germania invece se li taglia. Basta leggere l’ultimo libro di Cottarelli
L’Italia è considerata inaffidabile dai mercati finanziari, come dimostra la spada di Damocle dello spread. Chi ci presta denaro pretende interessi usurai per compensare una supposta inadempienza. Ancora l’altro ieri, il Governatore della Bundesbank ci ha trattato da scialacquatori. Passiamo, insomma, per scrocconi.
Prima, da profano della materia, mi avvilivo. Ora non più. Ho infatti letto l’aureo volumetto di Carlo Cottarelli, Il macigno (Feltrinelli), in cui l’ex Mister Forbici parla del nostro debito pubblico. Il titolo ne definisce l’ingombro. Consiglio il libro a chi salta le notizie economiche perché troppe impervie. In 150 pagine, l’ex Commissario alla spending review ci conduce nei meandri della contabilità di Stato, riducendo in gustose pillolette alla menta, tecnicismi da abbattere un toro.
Dopo questa lettura, mi sembra di capirne di più. Tra l’altro, ho definitivamente memorizzato una nozione già orecchiata e che sgombra i pregiudizi: l’Italia è una pagatrice formidabile e ha sempre onorato i debiti. Mai, dall’unità, il nostro Paese ha mancato di parola, modificato le condizioni concordate di un prestito, giocato sporco con l’inflazione per ridurre il debito carta straccia. L’hanno fatto invece a piena mani -come documenta Il macigno- i saccenti tedeschi, i ricchi americani, inglesi, giapponesi, ecc. Berlino poi ce l’ha come vizio. Con un’inflazione programmata -poi sfuggita di mano negli Anni ’20-, la Germania ha eroso il debito emesso durante la Prima Guerra mondiale. Ha usato lo stesso trucco dopo la Seconda Guerra. Non contenta, in compagnia del Giappone, ha pure proceduto a conversione monetaria forzata dando un’enorme fregatura a chi deteneva la valuta precedente. E ora il suddetto Governatore, Herr Weidmann (in tedesco significa “cacciatore”), osa puntare la doppietta contro di noi? Saremo pure pastasciutta e mandolini, esimio Herr Doktor, ma noi da 150 anni paghiamo sull’unghia. Gli inglesi, che hanno come simbolo la City e si danno rispettabilità con la bombetta, hanno invece unilateralmente ridotto i tassi d’interesse promessi ai creditori. Lo hanno fatto più volte nell’Ottocento e l’ultima volta negli Anni ’30 del Novecento per pagare meno i prestiti contratti durante il Primo conflitto mondiale. Gli Usa, infine, che avevano garantito la convertibilità in oro dei crediti in dollari, di colpo (1933) hanno abolito la clausola, lasciando i creditori con un palmo di naso.
Questa carrellata, fatta da Cottarelli per rinfrancare il nostro spirito patriottico, è in linea con l’intento generale della sua fatica. L’enormità del debito pubblico -osserva l’autore- fa dell’Italia un fuscello in balìa della finanza mondiale. Un Soros qualsiasi può crearci guai seri. Liberarci dal macigno è dunque un atto di amore nazionale per restituire al Paese piena sovranità. Più siamo consapevoli, più si rafforza lo stato d’animo collettivo indispensabile all’impresa. È con questo spirito che Cottarelli si è messo al computer una volta tornato a Washington dopo l’esperienza romana come Mr Forbice. Adesso, rappresenta il governo ed è l’italiano più alto in grado del Fmi.
Quando il premier Enrico Letta lo chiamò a Roma, novembre 2013, Cottarelli, oggi sessantaduenne, era appena andato in pensione dopo decenni al Fondo monetario. Incaricato di individuare gli sprechi, ci lavorò un anno. Ma la burocrazia, considerandolo un intruso, lo ostacolò. Mr Forbice cercò di vincere la frustrazione con uscite alla Tito Boeri, pure lui un disadattato all’Inps. Propose di tartassare i pensionati, di fare un solo corpo di polizia, elogiò i detestati Monti e Fornero, criticò il Cav e Tremonti che aveva in antipatia. Insomma, la buttò in politica e suscitò risentimenti.
Scrivendo il libro ha fatto tesoro degli errori. È sempre equanime. Discute i problemi, rispettando i punti di vista di destra, di sinistra, leghisti o grillini. Cottarelli valuta le tesi senza pregiudizi. Questo è il primo merito del libro: non indispone. L’altro è la chiarezza. Dell’intricato problema del debito pubblico, l’autore distingue le componenti: Austerità o crescita? Vendere beni pubblici o aumentare le tasse? Uscire dall’euro o ripudiare il debito? E così via. Il tutto scritto in modo pacato e piano.
È impossibile che riassuma il libro. Va letto. La conclusione è che il debito si può abbattere. Dal 132 per cento del Pil di oggi, può passare al 90 o anche sotto, in dieci, quindici anni. Non c’è un modo solo per farlo ma un mix di cose: tagliare la spesa, crescere, sburocratizzare, adeguare gli stipendi alla produttività, mobilità del lavoro. Primo obiettivo, la parità di bilancio. Fra tre anni, dovrebbe essere raggiunto. Poi insistere sulla strada della virtù, destinando gli attivi alla riduzione dei conti in rosso.
Cottarelli esclude che si possa tagliare il debito vendendo caserme, fari, isole. Sono solo spiccioli. Poi affronta due problemi grossi: uscire dall’euro o ripudiare il debito rifiutando di pagarlo? Qui, fa una curiosa affermazione: uscire dall’euro è di destra, rifiutare di onorare il debito è di sinistra. Comunque, l’uno e l’altro non vanno perché ci causerebbero problemi a non finire dall’inflazione (con l’uscita dall’euro) alla perdita di credibilità finanziaria (col ripudio del debito). Lo dice però senza iattanza, opponendo a ciascuna tesi un argomento contrario.
Leggendo Cottarelli una cosa diventa chiara: in tema di bilancio dello Stato nulla è come appare. Pensate che tagliando la spesa pubblica di dieci, il debito si riduca altrettanto? Neanche per sogno. In primo luogo, perché il taglio della spesa diminuisce il Pil, cioè la ricchezza. Dunque, fa danno. Poi, perché viene a mancare l’introito fiscale sulla spesa tagliata. Insomma, il risparmio c’è ma minore dell’atteso. All’inizio, peggiora perfino il rapporto tra Pil e debito. Per capire meglio l’astruseria, leggete il Capitolo 11. Un gioiellino.
Tra i giornalisti economici, Cottarelli ha fama di lingua biforcuta. La nomea nasce dal fatto che negli incontri a quattr’occhi, è persona di grande equilibrio. Appena però esce dalla riunione e vede le tv, è assalito dal demone della vanità, e si scatena in dichiarazioni di fuoco dando un’impressione di doppiezza. Insomma dà il meglio di sé a riflettori spenti, chino sullo scrittoio. Come il suo libro dimostra.