La Stampa, 1 maggio 2016
Star Trek compie cinquant’anni
Ci sarà un motivo se, a mezzo secolo dalla prima serie tv, in onda negli States nel settembre del 1966, siamo ancora alle prese con l’Enterprise in navigazione per universi veri o paralleli. Di motivi in realtà ce n’è più d’uno: intanto il nuovo film in uscita quest’estate, Star Trek: Beyond, segno indiscutibile che la saga è viva e vegeta. E poi il fascino inossidabile che il capitano Kirk, il suo equipaggio multietnico e i Vulcaniani continuano a esercitare non solo sul pubblico storico, ma anche su ragazzini che si appassionano alle loro gesta.
Tanto che il Future Film Festival, in programma a Bologna dal 3 al 9 maggio, organizza uno Star Trek Day sabato 7, con proiezioni della serie classica, fan club e cosplayer all’opera, ma soprattutto una tavola rotonda per capire come e perché, cinquant’anni dopo, la serie fantascientifica continui a restare saldamente conficcata nel nostro immaginario.
«I motivi sono diversi, per questo abbiamo invitato esperti di varia estrazione che ci aiutino a comprenderli, a cominciare da un ingegnere aerospaziale, Nembo Buldrini, che fra l’altro ha scelto la sua strada proprio perché ispirato da Star Trek da piccolo – spiega Roy Menarini, docente di Cinema e industria culturale all’Università di Bologna -. Il tema in questo caso è quanto fossero realizzabili le tecnologie futuristiche mostrate nella serie negli Anni Sessanta: l’invenzione più famosa è sicuramente il teletrasporto, su cui gli scienziati stanno veramente lavorando e che si è in qualche modo già manifestata con la stampante in 3D. Anche il replicatore, cioè il moltiplicatore di cibo a cubetti, ha una sua attualità oggi».
Poi c’è l’aspetto dell’influenza di moda e design: oggi forse i costumi di Kirk e compagni sembrano pigiami, ma negli Anni Sessanta l’impatto della «space fashion» fu notevole, non solo grazie a Star Trek, ma anche ad altri programmi tv di sci-fi come l’inglese Ufo, con le operatrici della base lunare in parrucca viola e minigonna argentata. Ma la ragione profonda per cui l’Enterprise conquistò uno zoccolo duro di appassionati che non l’avrebbero più lasciata è anche di ordine politico-sociologico: «Pur essendo una serie televisiva fantascientifica, dentro di sé ha un cuore umanista che rappresenta il microcosmo di un’America multirazziale – dice il docente -. C’è il personaggio di colore, il russo, l’alieno: l’equipaggio della nave spaziale è un insieme di soggetti molto eterogenei che oltre tutto cerca di compattare altri popoli. Di conseguenza, molti spettatori di allora si sono riconosciuti in un mondo molto americano-progressista, tant’è vero che Star Trek era un mito dei libertari Usa, i Vulcaniani erano visti come i pellerossa e i figli dei fiori seguivano la serie per la lettura politica che forniva».
A connotare Star Trek c’è anche un altro elemento: «È stato il primo, vero esempio di “fandom”, per cui col prodotto si è creato un fenomeno – aggiunge Menarini -. La prima serie si concluse nel 1969: non era mai successo che un programma giunto alla fine generasse una comunità di fan, con Star Trek invece accadde». Così dieci anni dopo (1979) uscì il primo film per il cinema, con gli stessi attori, anche se un po’ appesantiti. Ne è seguita una decina, il prossimo è atteso di qui a due mesi e degli altri a luglio la Universal metterà in vendita un’edizione speciale («steelbook») in dvd.
Nicola Vianello, dello Star Trek Italian Club, circa duemila soci, ha un’idea precisa sulla persistenza del mito: «Star Trek è nata molto prima della cultura del mordi e fuggi di oggi, diciamo che è il trionfo dell’analogico sul digitale, come le tabelline, che impari da piccolo e non scordi più. Del resto, oggi chi si ricorda più di Lost, o di Desperate Housewives?».