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 2016  maggio 01 Domenica calendario

Giocare è una cosa seria

Giocare è una cosa seria. Per i bambini ma anche per i loro genitori, che di fronte a un’attività tanto importante dovrebbero spegnere la tv, mettere via i telefonini e focalizzarsi su quello che davvero conta: libro, pupazzo o giocattolo che sia. La concentrazione con cui gli adulti giocano, hanno osservato due psicologi dell’Università dell’Indiana, influenza anche il livello di attenzione dei figli. E la capacità dei bambini di concentrarsi oggi, spiega lo studio pubblicato su Current Biology, è indicativa dell’impegno che metteranno domani a scuola o nel lavoro.L’esperimento si è svolto in maniera piuttosto semplice. Il bimbo di un anno e la madre erano seduti a un tavolo, con alcuni giocattoli fra le mani e un caschetto montato sulla testa. Il casco serviva a monitorare istante per istante su cosa lo sguardo di entrambi fosse focalizzato. Più a lungo la madre guardava il giocattolo, più tempo passava prima che il bambino si distraesse. L’esperimento è stato ripetuto per 36 volte, con altrettante coppie di bambini e genitori. Mentre in passato si riteneva che la durata dell’attenzione fosse una caratteristica individuale, che si sviluppava nel corso dell’infanzia secondo un percorso più o meno casuale, oggi si è scoperto che i genitori possono fare molto per influenzare questa facoltà. Tanto più importante in un’epoca come la nostra in cui l’attenzione è frammentata da mille luci, suoni e richiami.I genitori più attenti restavano concentrati sul giocattolo fissandolo per 3,6 secondi, poi distoglievano lo sguardo. I loro bambini invece continuavano a guardare il pupazzetto per altri 2,3 secondi in media. In tutto la loro attenzione restava focalizzata sul gioco per un tempo quattro volte superiore rispetto ai figli dei genitori che si erano stufati presto. «Pochi secondi in più potrebbero sembrare insignificanti», spiega Chen Yu, uno degli autori dello studio. Ma a un anno i bambini sono davvero troppo piccoli per potersi concentrare più a lungo. «E se moltiplichiamo questi pochi secondi per l’intera durata del gioco, e per i giorni, mesi e anni che genitori e bambini trascorrono giocando insieme, ecco che i risultati cominciano a notarsi». I ricercatori americani si sono concentrati sui benefici a lungo termine di questa capacità di concentrazione, «che è un indicatore preciso del successo futuro di un bambino in aree come l’apprendimento del linguaggio, la risoluzione dei problemi o il raggiungimento di altre importanti tappe dello sviluppo», spiega Yu Quando la sintonia degli sguardi – quella che gli psicologi chiamano attenzione condivisa – funziona a dovere, i genitori non hanno nemmeno bisogno di usare troppi ordini. «Molti dei genitori – spiega Yu – danno l’impressione di darsi troppo da fare. Cercano di mostrarsi attenti e premurosi, prendono i giochi, li porgono ai bambini, li chiamano per nome e li descrivono. Ma quando vai a controllare la telecamera sul caschetto, ti accorgi che gli occhi del bambino vagano sul soffitto».Gli adulti più abili nel mantenere l’attenzione condivisa con i loro bambini erano quelli che non cercavano di condurre il gioco. Lasciavano che il figlio scegliesse il pupazzo, poi lo chiamavano per nome e ne incoraggiavano l’osservazione. Ad avere più difficoltà di tutti erano i figli dei genitori passivi, disinteressati al gioco dei figli. «Quando un adulto non risponde affatto al richiamo di un bambino – sottolinea Yu – lì siamo certi che nasceranno dei problemi».