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 2016  maggio 01 Domenica calendario

Che nessuno parli di Fortuna

Ci sono voci che vengono da un altrove a noi sconosciuto. Un altro mondo che vive dentro all’isolato 3 del rione Iacp del Parco Verde di Caivano e nelle carte dell’inchiesta, piena di intercettazioni e di verbali, sulla morte di Fortuna Loffredo, Chicca, che aveva sei anni quando fu uccisa. È un altrove dove pietà e amore non valgono niente, e neppure protezione e tenerezza. E dove i bambini – molti bambini – non valgono per il tesoro che sono ma per l’abuso che se ne può fare.
Ai bambini in quel parco è stato impedito anche di parlare, e lo hanno fatto solo quando sono arrivati i carabinieri e poi i magistrati e gli psicologi. E hanno raccontato ogni cosa: come è morta Fortuna e tutto il resto. Ma il resto, il racconto degli abusi, il Corriere ha scelto di non scriverlo. Perché è irriferibile.
Quindi le voci che arrivano fin qui da quell’altro mondo che è l’isolato 3 del Parco Verde non saranno più le voci dei bambini ma solo quelle dei grandi: mamme, nonne, papà, «signore affianco». Voci di gente che raccontando se stessa racconta cosa è stato fatto ai bambini anche da quegli adulti che non li violentavano.
C’è una nonna, si chiama Angela, che alla nipote dice: «Tu per telefono non devi dire il fatto», e il fatto è che Chicca fino a pochi minuti prima di essere uccisa era stata a casa di una sua amichetta, figlia della convivente di Caputo. Ma la piccola non ne deve parlare perché, le spiega la nonna, «qua teniamo i telefoni sotto controllo tutti quanti». E se lei ubbidisce e sta zitta «stiamo in grazia di Dio e stiamo tutti a posto».
Ma Angela ha pure un’altra nipote, e deve istruire pure quella, perché i magistrati vogliono ascoltarla: «A tutte le domande devi dire io non so niente... Così devi rispondere. Me lo fai questo favore?».
La bambina invece sa, perché ha visto. Sa «il segreto». E allora Angela si arrabbia: «Che segreto tieni tu? Quelli perciò ti mandano a chiamare sempre, ‘sti scemi. Vedi? Non te li levi mai di dosso».
C’è un’altra donna, un’altra nonna. Si chiama Rachele, e insomma, sarebbe quasi una parente perché suo figlio viveva con la mamma di Chicca. Ma qui Rachele non è parente e nemmeno amica. Lei è la «signora affianco», la vicina di casa di Raimondo Caputo al settimo piano. Chicca, secondo la ricostruzione degli investigatori basata sulla testimonianza di un’altra bambina che racconta di aver assistito alla scena e la descrive nei dettagli, fu buttata giù da Caputo dal terrazzo dell’ottavo piano. Ma Rachele offre se stessa come alibi, e mette a verbale che quella mattina lei già da un’ora prima della tragedia, stava seduta su una sedia «vicino la finestra delle scale del mio pianerottolo», così, per «abitudine». E può «affermare con certezza che nessuno è salito all’ottavo piano», quindi «la piccola Loffredo Fortuna non può essere caduta né dal terrazzo né dalle finestre del vano tecnico, né tantomeno qualcuno dopo il fatto è sceso in quanto avrebbe dovuto passarmi accanto».
Poi i carabinieri ascoltano un altro vicino, gli chiedono se ha visto la donna sul pianerottolo, e quello risponde: «Non ho mai visto la signora Rachele seduta nei pressi della finestra della scala».
C’è un uomo, si chiama Salvatore. La sua voce non c’è nelle intercettazioni, c’è solo nei verbali. E non mente, racconta la verità e non ha niente da nascondere. Lui Fortuna l’ha soccorsa, è stato uno dei primi a correre quando lei è precipitata, si è dato da fare per provare a salvarla. Però è sospettato di aver molestato sua figlia. Indagando sulla morte di Chicca i carabinieri hanno scoperto anche questo.
C’è una donna si chiama Marianna, era la convivente di Caputo. Sta ai domiciliari, perché è accusata di aver lasciato che il compagno violentasse le sue figlie.
Eccoli qui tutti i «grandi» di questa storia. Che però finisce con la voce di una bambina, quella che ha raccontato tutto, che ha accusato Caputi. E che dopo, alla psicologa dice: «Finalmente ho detto tutta la verità. Sono felice ora. Tranquilla e felice».