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 2016  maggio 01 Domenica calendario

Decine di petroliere ferme nei porti in attesa che il prezzo del petrolio salga

Giorgio Arfaras per La Stampa
È uno degli ingorghi più grossi della storia, si vede addirittura dal satellite: decine di superpetroliere ancorate al largo dei porti, ciascuna con in pancia almeno due milioni di barili di greggio.
Più di quanto viene consumato dall’intera Italia in un solo giorno.
Ce ne sono decine, ammassate davanti ai porti del Golfo Persico, in rotta nell’Oceano Indiano e infine «parcheggiate» al largo di Singapore, il maggiore snodo petrolifero dell’Asia. Il traffico di Vlcc – Very Large Crude Carriers, le superpetroliere – è salito a livelli di intensità mai vista, e gli analisti si interrogano sui motivi di questo fenomeno. Quello che si sa per certo è che la Cina sta comprando petrolio ovunque, dall’Iran al Brasile, a ritmi mai visti, anche per darlo in pasto alle sue raffinerie, riaperte dopo un periodo di manutenzione.
Il sospetto però è anche che questo traffico senza precedenti sia segnale di una svolta del mercato, con la fine del periodo dei prezzi bassi che sta cambiando rapporti di forza non solo nell’economia ma anche sul piano geopolitico. Il petrolio estratto e non immediatamente venduto finisce infatti nei magazzini, come una merce qualsiasi. Il magazzino del petrolio è o «a terra», nei serbatoi, oppure «in mare», e qui abbiamo lo spettacolo delle superpetroliere ferme nei porti. Una parte del petrolio estratta può non essere venduta se la domanda è insufficiente, oppure se si pensa che il suo prezzo in futuro sarà maggiore per cui conviene aspettare tenendolo in magazzino, oppure a largo di Singapore dentro le super-petroliere.
Aspettare però costa. Si hanno i salari dei marinai, l’ammortamento della nave, e il costo finanziario del capitale circolante e fisso immobilizzato. Se l’aspettativa è quella di un prezzo futuro che copre abbondantemente questi costi, ecco che le superpetroliere restano ferme anche a lungo nei porti. Se, invece, escono dai porti, ciò avviene perché non ci si aspetta un prezzo di molto maggiore in futuro. Anche perché non ci sono solo gli interessi dei compratori – che vogliono accaparrarsi più barili possibile prima che il prezzo salga, come i cinesi – ma anche dei produttori, che stanno pompando senza sosta, per mantenere le entrate nonostante il crollo del prezzo, e infatti uno degli «ingorghi» è al largo di Bassora, in Iraq.
Non ci però solo i costi economici nella vicenda. I marinai non possono sbarcare, perché le petroliere sono enormi e attraccano molto lontano dai porti. Dopo che hanno ascoltato tutti i Dvd e visto tutti i film a disposizione, cominciano a innervosirsi, specie se a bordo è imposto – come avviene spesso – il «proibizionismo». A questo aspetto delicato di governo della «ciurma», si aggiunge un aspetto logistico. Si ha un limite al numero di super-petroliere che possono ormeggiare per quanto lontano dai porti.
Le navi ferme nel porto di Singapore non sono mai state così numerose, e, nello stesso tempo, si pensa che si muoveranno verso la Cina per soddisfare la sua domanda in ripresa, perché è terminata la manutenzione degli impianti di raffinazione e ora c’è bisogno di altra materia prima. Se le navi si muovono, la conclusione è quella che i proprietari del petrolio stipato nelle navi pensano che non si avrà un prezzo maggiore nel futuro, un prezzo che giustifichi i costi che intanto si sostengono per tenerle «a mollo». Tanto vale allora trasportarlo e venderlo in Cina, dal momento che ne hanno bisogno.

Roberto Giovannini per La Stampa
Niente internet, cibo schifoso, e per ammazzare il tempo solo vecchi dvd. Sono giorni duri, per i marinai delle superpetroliere che portano in giro per il mondo l’oro nero. In tanti hanno fatto man bassa, grazie alla riduzione straordinaria dei prezzi del greggio, crollati anche sotto i 40 dollari al barile. Il guaio è che si è comprato e venduto un oceano di petrolio: più di quello che il mercato è pronto ad acquistare, più di quello che raffinerie e depositi sono in grado di accogliere. Risultato: in questi giorni si è creato un immenso «ingorgo» di navi sulle rotte più battute dalle gigantesche superpetroliere, città galleggianti lunghe 400 metri gestite da soli 20 marinai. Secondo i numeri riportati dalla «Reuters», in questo momento ci sono in giro, in attesa di scaricare o di imbarcare, la bellezza di 125 petroliere. Mettendole in fila si formerebbe una colonna lunga 40 chilometri. Portano a bordo 200 milioni di barili di greggio: il petrolio che soddisferebbe per tre settimane le necessità dell’intera Cina. E che vale, più o meno, 7,5 miliardi di dollari.
Non c’è niente da fare: anche se bisognerebbe ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili, oggi più che mai l’«oro nero» è un fattore decisivo nel funzionamento dell’economia della Terra. Nel generare immense ricchezze e potere, ma anche sfruttamento, inquinamento e danni all’ambiente. Gli Stati Uniti hanno raddoppiato la loro produzione in pochi anni, l’Iran è tornato a vendere il suo greggio, la Russia ha bisogno di «cash» e i prezzi sono scesi vertiginosamente. Quest’abbondanza straordinaria smuove affari per miliardi e miliardi. E in tanti hanno pensato di rifornirsi finché i prezzi sono bassi, scommettendo sul fatto che prima o poi i prezzi risaliranno. Insomma, comprare a poco e vendere a molto.
Ecco quel che Ralph Leszczynski, capo economista degli shipbroker di Singapore Banchero Costa, definisce «uno dei peggiori ingorghi di traffico per le petroliere negli ultimi anni». I porti non possono reggere questa pressione: le 24 ore necessarie per caricare o scaricare diventano due, tre settimane di attesa. Qualcuno per cercare di limitare i danni rallenta il viaggio di queste immense navi, ad esempio passando intorno all’Africa piuttosto che «tagliare» per il canale di Suez. Ma una petroliera costa ogni giorno 50- 60mila dollari, compreso il personale e l’equipaggio, che va pagato per i giorni extra. Un ritardo di un mese può diventare così una mazzata da milioni per l’investitore che ha calcolato male i tempi. Ma per il suo rivale più abile (o fortunato) il «floating storage», cioè il tenersi a bordo il petrolio fino al momento giusto per rivendere, può essere la mossa con cui si crea un impero economico.
Gli ingorghi sono monumentali: secondo gli addetti ai lavori, ci sono circa 40 navi al largo di Singapore. Altre sono vicino a Sri Lanka, o tra la Malacca e i porti malesi. Dieci sono davanti il porto cinese di Qingdao. Una lunga fila c’era qualche settimana fa davanti a Galveston (il porto di Houston), Texas. Una trentina sono davanti a Bassora, in Iraq. A febbraio c’era una fila di 50 navi all’ingresso del porto di Rotterdam.
Secondo gli analisti la situazione comunque migliora, e migliorerà in futuro. Gli Stati Uniti hanno ridotto la produzione, il prezzo del barile pare in ripresa. Le petroliere per un po’ torneranno a navigare spedite.