L’Illustrazione Italiana, 9 gennaio 1916
L’aviatore di Marina ten. Miraglia
Del tenente di vascello ed arditissimo aviatore Giuseppe Miraglia, napoletano, figlio del senatore Miraglia, direttore generale del Banco di Napoli, si è discorso nel passato Corriere. Il «prode» – come D’Annunzio lo chiamò – aviatore, col quale il Poeta compì gli audaci voli su Trieste e su Pola, rimase vittima, il 23 dicembre, insieme col meccanico Fracassini, di un fatale accidente di volo sulla Laguna. Il Miraglia non aveva che 33 anni, e nella marina e nell’aviazione teneva luminosissimo posto.
Sulla bara di lui D’Annunzio così parlò:
«Questo compagno spento nell’età che sembra esser quella del martirio, quella della croce, a trentatré anni, crocifisso alle sue ali, questo compagno che siamo per portare all’isola sepolcrale e che speriamo di traslatare all’isola della sua virtù nel giorno della vittoria per scolpire in pietra duratura il suo nome oggi inciso nei nostri cuori afflitti; questo buono, questo forte, questo puro compagno che il nostro amore e il nostro dolore hanno santificato dinanzi agli uomini come certo che il Dio d’Italia l’ha ormai assunto in luogo di luce: questo capo di gente alata che al suo eroismo cotidiano non ebbe altro premio se non il suo proprio lieve sorriso in cinta alla sua anima impavida: questo semplice, triste e sorridente eroe tu deluso anche dalla morte, fu d’un colpo abbattuto dal crudo destino alla vigilia di una grande impresa meditata, per la quale penso che gli sarebbe stato dolce morire.
«A lui, così carico d’intima ricchezza, avara fu la vita come fu avara la gloria. Ma la sua corona di quercia e di cipresso gli sarà intessuta per testimonianza di gratitudine senza fine da chi ebbe la ventura di riceverne un dono spirituale di valore incomparabile.
«Egli sparisce: egli, modesto, discreto, taciturno, s’allontana, si dilegua nell’ombra subitamente, come soleva talora nelle nostre sere d’amicizia; ed ecco, tutti noi, dai nostri capi più illustri ai più umili nostri marinai e operai, tutti sentiamo, tutti sappiamo che una grande forza morale si disperde con lui. Di qual rara essenza fosse quella forza sarà detto un giorno, con quel fervore ch’egli stesso insegnava ed esercitava sorridendo.
«Oggi, qui, su quell’orlo silenzioso della nostra guerra, sa questa salma silenziosa, raccogliamo il suo esempio. In quel fragile corpo, così crudelmente spezzato e straziato, abitava uno spirito invitto, una volontà ferrea. In silenzio, anzi in segreto, egli faceva ogni giorno l’offerta della sua vita alla Patria.
«Questa intera dedizione di sé, nella semplicità più verace, egli c’insegna, egli lascia per comandamento ai marinai d’Italia, ai soldati d’Italia. Questo è il suo esempio, questo raccogliamo e inalziamo, in quest’ora di lutto, su questo mare deserto che ci reca in ogni onda l’angoscia di Trieste a cui un giorno egli si chinò ardentemente dall’alto delle sue ali. e chi gli era vicino da quel giorno lo amò e gli fu fratello immutabile.
«O fratello, fratello generoso e infelice, mi sia almeno concessa la gloria di raggiungerti con le tue stesse ali e di portarti questo nostro amore che tu non sapevi così dolce, questo nostro dolore che noi non sapevamo così alto.
«Non addio, compagno, non addio. Con te siamo, con noi tu rimani. Con noi vincerai, e per te compiremo il tuo voto e il voto di tutti i nostri morti».
Il tenente Miraglia fu decorato con la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione:
«Per 1’ardimento spiegato in numerose e difficili esplorazioni aeree sulle coste nemiche, e segnatamente su Fola e Trieste, riuscendo, quantunque scoperto e tatto segno all’offesa nemica, a portare sempre utili informazioni. Maggio – dicembre 1915».