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 2016  aprile 29 Venerdì calendario

Chi sono e cosa vogliono Serraj e Haftar

Francesco Semprini per La Stampa Milizie, rivoluzionari, islamisti, finanche ex gheddafiani, e un’ampia fetta della comunità internazionale. La forza del governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al Sarraj è nel poliedrico schieramento di gruppi e partiti che lo sostengono, uniti dalla convinzione di essere l’unica via per uscire dal caos politico e dall’avversione per il generale Khalifa Haftar. 

Il premier libico designato ha il sostegno di molte milizie di Tripoli e Misurata che dipendono dal ministero Difesa o Interni. In primis la Brigata Nawasi che si occupa della sicurezza di Sarraj. «Fronte del cavallo», questo il significato del nome per descrivere il ruolo di prima linea, è composta da 1520 elementi che presidiano i check point, pattugliano e fanno addestramento, e svolgono funzioni anti-terrorismo. E hanno un ruolo importante nel negoziato sulla Libia. «Il generale Paolo Serra è una persona straordinaria, colpisce la sua capacità di ascoltare», ci dice il capitano Murad Abd El-Kafi parlando del consigliere militare dell’inviato Onu Martin Kobler. E quando gli chiediamo una foto, avverte: «No, siamo un bersaglio per Haftar, per lui noi siamo carne da macello».
Il sostegno dei moderati
«Siamo con il governo e vogliamo portare avanti il dialogo, la comunità internazionale e l’Italia in particolare ci possono aiutare, ma c’è ancora chi non lo capisce. Il governo di Tripoli sta funzionando, lentamente, ma sta funzionando». Mustafa Taghdi è tra i negoziatori chiave sulla Libia in rappresentanza di «Hizb Al-Adala Wal-Bina», «Partito della Giustizia e della Costruzione», di ispirazione islamista. Quando parla di Haftar usa termini implacabili. «Un uomo solo non può fermare un Paese, Gheddafi ci ha provato ed è stato ucciso. Ci sono prove che dimostrano come Haftar sia un criminale. In una Libia democratica sarebbe incriminato e portato alla Corte penale internazionale. Le sue mani sono sporche di sangue».
«Vorrei dare il mio contributo all’esecutivo di Fayez al Sarraj». Ad avanzare la candidatura è Moftah Missouri, ex uomo di Gheddafi, la «voce francese» del colonnello. Studi alla Sorbona, filosofo, e poeta, Missouri è diplomatico raffinato e abile negoziatore, con un amore viscerale per l’Italia. È stato 16 anni al fianco di Gheddafi «uno dei pochi di cui il colonnello si fidava senza riserve», ma da lui molto diverso: «Sono un pragmatico che lavora per la pace e per la stabilità». Ci rivela che ce ne sono diversi in Libia come lui, moderati che hanno avuto un ruolo nel regime e sono pronti a sostenere Sarraj. Molti ex però sono con Haftar? «Non credo – dice – che la storia darà loro ragione».
L’Onu e l’Europa sono con Sarraj, o meglio il premier è una loro creatura. Occorre però fare dei distinguo: tra il Palazzo di Vetro e l’Italia c’è un asse di ferro in favore del Gna, come con gli Usa. Gran Bretagna e Francia pure sono sempre presenti nelle foto di gruppo pro-Sarraj, gli inglesi però non disdegnano l’ipotesi federativa in Libia per avere la loro fetta di giacimenti petroliferi e minerari. La seconda invece, con ancor meno discrezione, sottoscrive i piani di Egitto ed Emirati per consentire ad Haftar di creare un contro-governo in Libia orientale. 
 
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Giordano Stabile per La Stampa
Il generale Khalifa Haftar punta sul nazionalismo anti-italiano per allargare i suoi consensi e porsi come leader della «nuova Libia». Così battezza l’operazione per arrivare a Sirte, e sconfiggere l’Isis per primo, con il nome di Al-Qurdabiya. 
La cittadina oggi è un sobborgo di Sirte dove si trova l’aeroporto, ma il 28 aprile 1915, fra le sue dune sabbiose, è stata teatro di una delle più amare sconfitte dell’esercito italiano, sopraffatto dalle formazioni turco-arabe. Il riferimento alla battaglia è un messaggio a Roma. E solletica un ampio spettro della società libica. Perché la campagna del 1915 fu anche il debutto della resistenza anti-italiana guidata dalla confraternita senussa, che durò fino al 1931. 

Haftar, 73 anni, ha concentrato uomini e mezzi ad Adjabiya, sua città natale. Ma prima di puntare su Sirte deve mettere le mani sui giacimenti della Mezzaluna del petrolio, fra Adjabiya e Sirte, e rinsaldare le alleanze. La sua tribù, Al-Farjani, si presta al gioco perché storicamente legata alla Bani Hilal, la confederazione dei beduini che spaziava in tutto il Nord Africa. Questo spiega l’ottimo rapporto con le brigate di Zintan, all’Ovest della Libia.
I nostalgici gheddafiani
L’altra carta del generale è la tribù dei Warfalla, con «capitale» a Bani Walid, fra Misurata e Tripoli. I Warfalla hanno conosciuto i giorni migliori sotto Muammar Gheddafi e non l’hanno mai tradito, neanche quando fuggiva inseguito dalle bombe della Nato. Sono stati emarginati prima dal governo di Tripoli, che si è alleato con le tribù-mercanti di Misurata, poi da Al-Sarraj, che deve appoggiarsi proprio a Misurata per poter attaccare l’Isis.
L’appoggio dei nostalgici di Gheddafi è scivoloso, perché il raiss era odiatissimo in Cirenaica. Ma anche qui gli appigli non mancano. La prima moglie del Colonnello, Safia, è di Al-Bayda, la città vicino a Tobruk dove ora ha sede il governo dell’Est, guidato dal premier Abdullah al-Thani. Che ieri avrebbe fatto un «invito formale» alla vedova Gheddafi a rientrare in Libia. 
Sponsor internazionali
Assieme a Gheddafi, Haftar ha partecipato al colpo di Stato del 1969 contro re Idris al-Senussi. È stato braccio destro del Colonnello fino alla disastrosa campagna in Ciad. Nel 1987 il generale venne catturato con 300 soldati. Poi passò con gli americani e dal 1990 visse per vent’anni a Langley, Virginia. Per questo era considerato «l’uomo della Cia» quando è tornato in Libia nel 2011. Poi, con una delle sue piroette, ha trovato protezione nell’Egitto di Abdel Fattah Al-Sisi, quando nel 2014 ha lanciato l’Operazione Dignità contro il governo di Tripoli dominato dai Fratelli musulmani. 
L’obiettivo strategico di Al-Sisi è estirpare i Fratelli musulmani. Haftar quindi conta sull’Egitto e gli stretti alleati. Gli Emirati arabi uniti che gli hanno appena fornito 400 blindati Panthera per la sua marcia su Sirte. Ma anche la Giordania di re Abdullah, che ha ricevuto e abbracciato il generale ad Amman nell’aprile 2015. E la Francia. Le forze speciali di Parigi sono da mesi alla base di Benina, appena fuori Bengasi, e hanno aiutato Haftar a cacciare l’Isis dalla Cirenaica.