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 2016  aprile 29 Venerdì calendario

L’ira di Beyoncé, una donna nera orgogliosa e cornuta che in borsa porta una mazza da baseball e con le sue canzoni fa scoppiare guerre culturali

Per capire il gran parlare su Beyoncé, o almeno per smettere di confonderla con Rihanna e Kim Kardashian che sarebbe sbagliatissimo, basta cercare su Youtube lo sketch The Day Beyoncé Turned Black. È andato in onda nel Saturday Night Live quando gli americani, e il pubblico globale, si sono accorti che la popstar è nera. E orgogliosa, e arrabbiata con i poliziotti razzisti nella sua Formation, interpretata epicamente al Super Bowl. Anche gli stroncatori e quelli che dicevano «per carità non sono razzista però lei ha esagerato», erano, in maggioranza, freschi di stupore per la nerezza di Beyoncé. Nel gennaio 2016 hanno dovuto prenderne atto; e la cantante pop a volte soul a volte funk ha smesso di venire trattata come un bene di largo consumo, un sottofondo da lounge bar e ascensore, un nome da sito pettegolo. È diventata una condottiera culturale, in senso pop ma neanche tanto.
Con l’uscita, sabato, dell’album Lemonade, che parla di identità, di corpi di donne nere, di infedeltà (in Lemonade si parla di tradimenti, pare del marito anche indebitato Jay Z, che però forse ha collaborato; le illazioni sulla canzone sono un filone a sé). Con le polemiche su Formation, che doveva essere la performance dell’intervallo della finale di football americano, l’evento più american-consumista che esista, e che è diventato un omaggio alle Black Panthers e all’identità nera. E alle donne afroamericane, come tutto Lemonade.
L’album è stato definito «uno straordinario dramma sociale con una un musica decente» o quasi ( The Verge ); il tour partito l’altro ieri da Miami è stato promosso in quanto «provocatorio, vittorioso, glorioso», e l’ha detto il Guardian.
Sempre a Miami, dopo che un’associazione di poliziotti ha invitato a boicottare i suoi concerti causa esibizione al Super Bowl, tra la sua merce ufficiale sono comparse le magliette «Boycott Beyoncé». Le guerre culturali si combattono con autoironia e senso degli affari, a volte.
E si vince qualche battaglia. Adesso, critici in estasi anche promozionale paragonano Beyoncé a Toni Morrison e a Terrence Malick. Lei si fa comunque ben aiutare: da bravi registi per i video, e verranno ricordate le gallerie di facce di afroamericane famose e non; dalla giovane poeta londinese-africana Warsan Shire con cui ha scritto i testi.
Un verso di Lemonade è stato citato da Hillary Clinton: «I got hot sauce in my bag», porto la salsa piccante in borsa. Hillary lo fa; l’omaggio a Beyoncé è evidente; team Clinton non aveva capito che la hot sauce della canzone è una mazza da baseball con cui spacca parabrezza e vetrine; o forse sì. Ma va così, ci si è appena accorti che è nera.
«È nera o è donna?» si chiedono nello sketch del Snl. «Ho paura che sia tutte e due le cose!». Segue urlo terrorizzato degli attori, il che spiega perché Beyoncé sia diventata culturalmente esplosiva, e come una popstar riesca a far pensare; anche (in Lemonade viene citato Malcolm X che parla delle afroamericane come delle donne «meno rispettate»; sul New York Times, Nikole Hanna-Jones nota come Beyoncé rappresenti «le donne nere come la spina dorsale della comunità, e il gruppo trattato peggio» che ora attacca; altri dicono che Beyoncé e la sua candidata Hillary hanno molto in comune, anche dei mariti adulteri; eccetera, eccetera).