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 2016  aprile 28 Giovedì calendario

Disintossicare gli islamisti dalla jihad. L’Arabia Saudita ci sta provando (e pare funzioni)

L’Arabia Saudita, che professa un Islam ultrarigorista e dalla quale sono partiti 3.200 giovani per arruolarsi volontariamente nell’Isis del califfo al-Baghdadi, ha messo in piedi un programma di riabilitazione degli jihadisti di ritorno, per disintossicarli dall’Islam radicale. Le famiglie possono chiamare un numero di telefono dedicato, il 990, per segnalare la partenza di un loro congiunto. Poliziotti, psicologi e imam si fanno carico di reinserire chi sbaglia. Ogni settimana arrivano da 180 a 200 telefonate e il 70% degli arrestati è stato segnalato dai famigliari attraverso questo numero.
Nove anni fa, è stato creato nel deserto un centro di detenzione che dipende dal ministero dell’interno diretto dal principe ereditario Mohammed Ben Nayef, il signore dell’antiterrorismo saudita. È una prigione o un hotel a cinque stelle? Il dubbio è legittimo a guardare le condizioni, quasi lussuose, di detenzione. Il paese cura i suoi sudditi che hanno deviato verso il jihiadismo. E sono molti.
In questo luogo sono rinchiusi 1.670 detenuti colpevoli di aver commesso atti di terrorismo, come essere andati a combatte in Siria, per al-Qaeda o per il Daech. Sono stati molti. Tirati dentro uno dopo l’altro da una catena di amici islamisti radicali già sul posto che hanno organizzato il viaggio dei sauditi entusiasti di arruolarsi nell’esercito del califfato. Sono arrivati in Siria passando attraverso la Turchia. Tra questi c’è Faysal, ora rinchiuso nel carcere saudita dove lui, e quelli come lui, vengono disintossicati dal fanatismo jihadista. Dopo sei mesi nelle fila del califfato, Faysal ha deciso di tornare in Arabia perché in Siria non aveva trovato quello che cercava. Ed è riuscito a scappare dall’Isis.
Poco dopo la sua partenza dall’Arabia Saudita la sua famiglia aveva chiamato il 990, il numero di telefono dedicato che allerta le autorità sulla sparizioni sospette. Al ritorno dalla Siria, Faysal, segnalato, è stato arrestato all’aeroporto di Riyad e successivamente condannato a cinque ani di prigione. Ne deve scontare ancora due.
Saad divide una cella di una ventina di metri quadrati con altri quattro prigionieri. Dispongono di uno spazio aperto sul retro delle toilette, di una televisione a grande schermo attaccata al muro con 168 canali e che diffonde anche le notizie interne al carcere. Saad percepisce l’equivalente di 380 euro al mese e sua moglie è autorizzata a venire a trovarlo regolarmente e passare tre ore insieme in una camera, senza videosorveglianza, con aria condizionata e televisione. Il Viagra è disponibile nella farmacia del carcere.
Non tutti beneficiano di questo trattamento. Quelli che sono ritenuti ancora capaci di indottrinare gli altri, una trentina, sono rinchiusi in isolamento in una cella di 8 metri quadrati.
Saad e Faysal hanno cominciato a seguire un programma di riabilitazione obbligatorio. Nessuno dei 5 mila jihadisti che sono rinchiusi nelle cinque prigioni del regno saudita recupera la libertà senza essere passato per questo programma di riabilitazione che dura tre mesi. E si fonda su due pilastri: la famiglia, alla quale lo jihadista in via di pentimento va in visita nel fine settimana, e l’Islam, quello vero, non quello predicato in Daech. Non è facile per i consiglieri di studi islamici della prigione che hanno soprannominato questo luogo un centro di reislamizzazione. Il programma coinvolge più di 2.650 specialisti, dei quali 120 religiosi, e 50 psicologi. Al suo arrivo l’ex jihadista è sottoposto a 600 quesiti in due giorni per essere giudicato. Alla fine dei tre mesi di riabilitazione gli viene chiesto quali libri desideri leggere e se le sue risposte indicano autori vicini all’Islam radicale è la prova che le sue idee non sono cambiate e non potrà essere liberato e dovrà continuare la riabilitazione. Dopo anni di jihad e di prigione la sfida principale degli operatori del centro è quella di ricreare un legame con la società. Tarek, per esempio, dopo aver superato il periodo di riabilitazione è diventato oggi un imam di una moschea di Riyad. Quando gli ex jihadisti vengono recuperati e possono lasciare la prigione le autorità li aiutano a trovare un lavoro e una moglie che diventa garante del loro comportamento: la famiglia sarà la prima a osservarlo una volta libero.
In dieci anni più di 3.100 jihaidisti sono passati dal centro di riabilitazione (dei quali 122 ex prigionieri sauditi a Guantanamo), con un tasso di riuscita dell’80%. Un dato che lascia, però, scettici gli osservatori stranieri.