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 2016  aprile 27 Mercoledì calendario

«Salvini? Sarà il prossimo premier». Così spera Donald Trump

Sorrisi, pollici dritti e strette virili. La spilletta dell’Alberto da Giussano che s’aggrappa al bavero padano. La cofana biondastra dell’americano che fa pendant con la pochette del Gop; e pare quasi scarmigliarsi al libeccio delle prossime, (forse) vittoriose, primarie in Pennsylvania.
Eppoi «Go, Donald, go!». E «Matteo ti auguro di diventare presto primo ministro in Italia» (nella versione meno sfumata: «diventerai primo ministro in Italia!»). Nel mezzo del tripudio della photo opportunity non si capisce bene, nel dettaglio, cosa si siano detti per ben venti minuti Matteo Salvini e Donald Trump durante il comizio elettorale del tycoon nell’arena sportiva di Mohegan Sun Area at Casey Plaza nei sobborghi di Filadelfia. Ma, onestamente, non è poi così importante ai fini della trama. Certo, spiazza osservare Salvini senza felpa, gioioso come un putto, in giacca e cravatta con il mano il cartello «Trump. Make America Great Again» a Filadelfia, città di Rocky Balboa, invece che col volantino «Lumbard paga e tas» a Cassano Magnago, paese dell’Umberto Bossi. Certo, stupisce vedere Trump «designare» al potere un uomo di destra italiano che non sia, com’è d’uopo, Berlusconi. E siamo convintissimi che i due, Donald e Matteo -chez Amedeo Berardi, presidente del NiaPac associazione che promuove le tradizioni, la lingua e la cultura italiana negli Usa- si siano trovati d’accordissimo su tutto, come riferiscono le numerose fonti. Sui temi dell’economia, della nefasta globablizzazione, dei grandi poteri forti, e soprattutto dell’immigrazione, roba prioritaria in Europa come negli Stati Uniti. Proprio sull’immigrazione s’è registrata «piena sintonia tra Salvini e Trump, concordi sulla necessità di sviluppare da una parte e dall’altra dell’Atlantico politiche mirate ad aiutare il più possibile nei Paesi d’origine le popolazioni che fuggono dalla fame e dalla povertà». Non ne dubitavamo. Certo, il meeting al vertice è rimasto un tantino sul generico. Ma, come in un immaginifico incontro tra John Wayne e Tex Willer, l’epica sta tutta nel gesto. Visitando per primo, sul suolo americano, The Donald, dopo un tentativo abortito a febbraio causa bufera di neve sulla costa est, Salvini si dà una spinta. Anche elettorale.
La strategia del padano oggi sta nel cavalcare quanto, nonostante evidenti divergenze, nella politica dei due leader vi sia di comune: il contrasto durissimo all’immigrazione e all’islam, la delocalizzazione delle imprese, la difesa dell’orgoglio nazionale (cosa incredibile, anni fa, per un leghista, se pensate). Cavalcare la tigre, eye of the tiger direbbe Rocky: «Attorno a Trump ho visto un entusiasmo incredibile. Da lui ho sentito parole vere su immigrazione, sicurezza, legalità, riduzione delle tasse e del peso dello Stato», s’infiamma Salvini su Radio Padania. «Trump sta ridando orgoglio a milioni di persone che se ne sarebbero fregate, con buona pace di politologi e pensatori. Gli stessi che anche a casa nostra dicevano “la Lega? non ce la farà mai...”. La sua vittoria farebbe bene a tutti anche in Europa», aggiunge il segretario del Carroccio, ben conscio dei sondaggi che danno l’amico miliardario vincere a mani basse sugli avversari verso la Casa Bianca. Dopodichè, inevitabile il post leghista sulla pagina Facebook: «Renzi sceglie il buonismo disastroso di Obama e Merkel, io preferisco Trump!», lodando i muri dell’Austria e chiosando che sull’immigrazione l’Italia non fa niente e «usa la Marina militare come taxi per scafisti, Renzi non vuole fare niente perché l’immigrazione è un business di miliardi che sta arricchendo qualcuno, la sinistra paga e organizza l’invasione perché ci sono troppi interessi in ballo». Politicamente val più questa puntatina in Usa che l’intero viaggio in Israele. L’irruenza tricologica di Trump equivale al rigido abbraccio di Putin. Altro che starsene a Roma a sfiatarsi tra Meloni e Bertolaso...