il Fatto Quotidiano, 26 aprile 2016
I cent’anni di Spoon River, l’antologia degli epitaffi
L’Antologia di Spoon River compie 100 anni. È ancora uno dei libri più amati e venduti del mondo, e di fatto è piaciuta a tutti tranne a chi quel libro l’ha ispirato. Ovvero gli abitanti di Lewiston e Petersburg, vicino a Springfield nell’Illinois. L’autore, Edgar Lee Masters, li guardò e ne raccontò le storie. Li immaginò già morti, dunque senza più segreti da custodire. Finalmente liberi, sinceri e senza filtri. Pure troppo, perché quasi tutti vissero quel libro come una coltellata dello scrittore ai suoi ex concittadini. La prima edizione del 1915 conteneva 213 epigrafi, divenute 244 (più La collina) nella versione definitiva dell’anno successivo. Quella che compie 100 anni sarà nuovamente in libreria giovedì per il Saggiatore (in un’edizione che comprende per la prima volta due parti finora mai tradotte in Italia: la Spooniade e l’Epilogo) e sarà festeggiata anche il 13 maggio a Sanremo, con una lettura-maratona organizzata dal Club Tenco e dedicata a Fernanda Pivano: colei che, meglio e più di tutti, ha contribuito a far scoprire l’Antologia al pubblico italiano.
Gli Epitaffi uscirono a partire dal 29 maggio 1914 sul Mirror. Inizialmente l’autore usava uno pseudonimo, “Webster Ford”. L’idea di raccontare un macrocosmo attraverso un microcosmo gli venne facendo l’avvocato a Chicago. Si rese conto che il concetto di bene e male, nelle grandi città, non era dissimile da quello dei piccoli villaggi. “Ho trattato tutte le occupazioni umane consuete”, spiegò Edgar Lee Masters, “tranne quelle del barbiere, del mugnaio, dello stradino, dei sarto e del garagista”. Spoon River non esiste, ma esiste. I due paesini, nel testo, hanno avuto più o meno peso analogo. “Ho trascorso più o meno lo stesso numero di anni nei due villaggi. Ma a Lewistown ho visto la gente con occhi maturi e in circostanze che avevano acuito la mia osservazione. Petersburg era soltanto una fiera di campagna con molta gente; Lewistown era un microcosmo organizzato. È stato il fiume Sangamon, non lo Spoon a fornirmi lo spunto per l’Antologia. Però 53 poesie sono ispirate a nomi delle regioni di Petersburg, 66 a nomi della regione del fiume Spoon. Le tombe che ho descritto sono di Petersburg, ma la collina è di Lewistown”. Nel 1914 Masters aveva 46 anni. La scintilla definitiva fu una visita della madre, che avrebbe peraltro poi odiato il libro: “Ch i a cchierando, riandammo al passato di Lewistown e di Petersburg, rievocando personaggi e avvenimenti che mi erano sfuggiti di mente. Una domenica, dopo averla accompagnata al treno, mentre suonava la campana della chiesa e la primavera era nell’aria, scrissi La Collinae i ritratti di Fletcher MeGee e Hod Putt. Mi venne quasi subito l’idea: perché non fare così il libro che avevo immaginato nel 1906, in cui volevo rappresentare il macrocosmo descrivendo il microcosmo?”.
Lee Masters scriveva quando poteva, il sabato pomeriggio e la domenica. “Gli argomenti, i personaggi, i drammi mi venivano in mente più in fretta di quanto li potessi scrivere. Così presi l’abitudine di annotarmi le idee, o magari scrivere le poesie, sui rovesci delle buste, sui margini dei giornali. quando ero in tram o in tribunale o al ristorante”.
Il suo obiettivo non era indispettire gli abitanti, ma “ridestare quella visione americana, quell’amore della libertà che gli uomini migliori della Repubblica si sono sforzati di conquistare per noi e di tramandare nel tempo”. I virgolettati (veri) sono tratti dalla “pseudo-intervista” con cui la Pivano arricchì Non al denaro non all’amore né al cielo (1 97 1), l’album di Fabrizio De André scritto con Giuseppe Bentivoglio (musiche di Nicola Piovani) e ispirato all’Antologia. De André focalizzò l’attenzione su otto personaggi (più La collina)e due macrotemi: invidia e scienza. La Pivano scoprì l’An tol og ia grazie a Cesare Pavese. Gli chiese un testo che dimostrasse la validità della poesia americana contrapposta a quella (da lei molto più amata) inglese. Pavese le propose Spoon River, lei aprì il testo al centro e si imbatté in Francis Turner (il “malato di cuore” di De André). Tradusse l’opera per anni, di nascosto anche da Pavese, che però la scoprì esortandola a pubblicarla. NON SI POTEVA, perché la letteratura anglo-americana era proibita dal fascismo. Ancor più quella libertaria. La scrittrice tradusse il testo a vent’anni, tra il 1937 e 1941, quando questo “significava c or a gg io” (ancora De André). La censura fascista si rivelò così stupida da farsi ingannare da un artificio facile facile della Pivano: intitolare l’opera “Antologia di S. River”. Qualcuno, nelle alte sfere fasciste, si convinse che da qualche parte esistesse un santo chiamato “River”. Poi scoprirono tutto e la Pivano conobbe il carcere. Cosa di cui, giustamente, si è sempre vantata. L’Antologia di Spoon River vive ancora oggi tra prosa e poesia, più “narrativa” che “declamatoria”: un’anomalia, per la poesia propriamente detta. Lee Masters era convinto, come poi Pavese, che la morte fosse una sorta di spartiacque: qualcosa che separava le cose marginali dall’unica cosa per cui era valsa la pena vivere. Ed era quella cosa, solo quella cosa, a essere eternata dalla scomparsa.