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 2016  aprile 26 Martedì calendario

Appunti sull’intervista a Renzi di Repubblica

Matteo Renzi ha rilasciato un’intervista a Claudio Tito di Repubblica. Intervista si fa per dire: il presunto intervistatore è un po’più pidino del segretario Pd. Già alla seconda domanda, chiede se la Festa della Liberazione non rischi “di essere travolta” dalla “destra populista che a Roma si presenta con il volto della Meloni e della grillina Raggi”. Che strano: prima che nascesse il M5S la Raggi votava a sinistra e solo un tal Tito può definirla “destra populista”. Infatti Renzi, in evidente imbarazzo, risponde ecumenico: “Tutti ci riconosciamo nella Costituzione”. Compreso lui che ne ha sfasciati 47 articoli su 139, mentre i 5Stelle l’han difesa fino a salire sui tetti di Montecitorio e la Meloni ha votato contro la riforma. Ma le risposte più tragicomiche del battutaro di Rignano riguardano la giustizia.
1. Su Davigo, Tito e Renzi fanno a gara a chi mente di più. Tito: “Davigo sostiene che tutti o quasi i politici siano dei ladri”. Renzi: “Dire che tutti sono colpevoli significa dire che nessuno è colpevole”. Ma Davigo non l’ha mai detto. Ha sostenuto che oggi la corruzione “è peggio di allora”, cioè del 1992, perché nella classe dirigente “non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi”. E meno male che Renzi auspica “un confronto nel merito”.
2. “I politici che rubano fanno schifo –dice Renzi –e vanno trovati, giudicati e condannati”. Una grande apertura ai magistrati? No, Totò che si vende la Fontana di Trevi. La Costituzione e la legge non prevedono l’autorizzazione a procedere del premier per acchiappare, processare e condannare i ladri. I giudici lo fanno a prescindere da quel che dice il premier e continuerebbero a farlo anche se lui dicesse di non farlo. Il guaio è che, mentre le pene massime per il furto arrivano a 22 anni e quelle per la corruzione –che fa danni molto più gravi – solo fino a 12 (cioè, fra attenuanti, condoni, pene alternative e indulgenze varie, molti di meno). E soprattutto la prescrizione è di 6 anni da quando la mazzetta viene pagata, prorogabile di 1 anno e mezzo. Così, se il pm scopre la tangente dopo 6 anni, è obbligato ad aprire un’inchiesta che finirà sicuramente nel nulla, visto che restano appena 18 mesi per indagini, deposito atti, udienza preliminare e tre gradi di giudizio. Indovinate un po’ chi parlava così: “O il caso Eternit non è un reato o, se lo è ma è prescritto, vanno cambiate le regole sulla prescrizione perché non è possibile che facciano saltare la domanda di giustizia. Basta con l’incubo prescrizione”.
Era Renzi il 20.11.2014. Dopo 17 mesi, lui è ancora lì e la prescrizione pure (120 mila processi falcidiati all’anno).
3. “Voglio nomi e cognomi dei colpevoli”. Altro slogan, altra furbata. Se i colpevoli sono i condannati definitivi, senza riforma della prescrizione non ce ne saranno quasi mai. Se invece sono quelli che si vedono ictu oculi, tipo quelli intercettati o beccati da contabili bancarie a prendere soldi indebiti o a spendere denaro pubblico per fini privati o ad abusare del loro potere per favorire gli amici degli amici o a frequentare mafiosi, non occorrono le sentenze per dare un giudizio politico e cacciarli: bastano gli elementi a disposizione nelle indagini. Nel governo Renzi c’è un sottosegretario, Vito De Filippo, intercettato e indagato perché si attivò per far assumere dall’Eni il figlio della sindaca lucana che spalanca il Comune agl’interessi della lobby petrolifera in cambio di posti clientelari. Per stabilire se è reato e mandarlo in galera, bisogna attendere la Cassazione (sempreché arrivi in tempo). Ma per stabilire che è una porcata e mandarlo a casa, no: si può agire subito. E Renzi lo sa bene, visto che ha defenestrato la Guidi, che a Potenza non è indagata, ma parte lesa; e ha accompagnato alla porta Lupi per il Rolex e il contratto al figlio, omaggi del manager Incalza, che non sono reato, ma un’indecenza sì. Perché De Filippo è ancora lì?
4. “È finito il tempo della subalternità. Il politico onesto rispetta il magistrato e aspetta la sentenza. Tutto il resto è noia”. No, in tutto il resto ci sono le responsabilità morali e/o deontologiche, i conflitti d’interessi, le questioni di opportunità: che non sono rilevanti penalmente, ma politicamente sì. E non c’è assoluzione o prescrizione (che qualunque uomo pubblico raggiunto da gravi accuse dovrebbe rifiutare per farsi assolvere nel merito, se ci riesce) che possa cancellarli. Quanto alla “s u ba lt er n it à”: se Renzi si riferisce a una politica succube dei pm, dovrebbe spiegare quando mai lo è stata. L’unico governo i cui ministri indagati si dimettevano in automatico è l’Amato I, che ne perse cinque nei primi tre mesi del 1993. Prima non era mai accaduto; dopo, per 23 anni, idem. Se invece Renzi intende che la politica non è subalterna a nulla, si sbaglia di grosso: i politici sono soggetti alla legge e hanno i doveri di “disciplina e onore”. Lo dice la Costituzione su cui, forse distrattamente, ha giurato anche lui.
5. “Non sono interessato all’ennesima discussione sulle intercettazioni, che riguarda soprattutto la deontologia del giornalista e l’autoregolamentazione del magistrato”. Magari: il suo governo ha chiesto al Parlamento una legge delega per vietare la pubblicazione delle “conversazioni non rilevanti ai fini di giustizia penale” e di quelle “delle persone occasionalmente coinvolte” (tipo Lupi, Guidi e gl’imprenditori che ridevano del terremoto). La Camera l’ha approvata a settembre e ora il governo attende l’ok del Senato, poi procederà al bavaglio. Se Renzi non è più “in te re ss at o”, ordini al Pd di votare contro, o la ritiri. Se non lo fa, è un bugiardo.