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 2016  aprile 26 Martedì calendario

Il minuto in cui gli juventini si sono innamorati di Paulo Dybala

C’è un motivo e probabilmente persino un minuto in cui i tifosi della Juve si sono innamorati di Paulo Dybala.
Non era scontato. Certo il talento, sicuro il futuro, era proprio il presente l’unico dubbio. E uno che arriva nell’anno in cui partono Tevez e Pirlo, costa 32 milioni, si mette addosso la maglia numero 21, passata da Zidane a Pirlo (ancora a lui) ha l’urgenza di piacere. Se ti presenti così e poi ti prendi tempo per sfondare si inquina l’aria.
Dybala si è preso tre mesi. Ha destabilizzato il mercato con qualche fermata in panchina, ha sperimentato posizioni diverse in campo, si è sentito dire da Allegri che prima di fare la differenza doveva metabolizzare il mondo Juve e il 21 novembre ha segnato contro il Milan e corso a braccia larghe e occhi chiusi. È quello l’istante in cui la Juve ha capito chi era, la curva ha deciso di non poter più vivere senza di lui e il nome di Tevez ha smesso di provocare fitte di nostalgia.
Le cicatrici
Non era il primo gol di Dybala, ma è il preciso momento in cui si è creato il legame, in cui si è accesa la rete e non solo quella di San Siro dove La Joya ha piazzato quel seducente sinistro. Lì si è connesso al mondo bianconero e ora ne è un pezzo fondamentale.
A 22 anni, senza bisogno di pensare troppo, ha segnato 16 gol in campionato, 20 in stagione, ha ballato con Pogba, ha scambiato profondi sguardi di intesa con Buffon, ha convinto Allegri, ha ripagato la società. Ci è riuscito perché è un finto ragazzino ed era più che preparato all’appuntamento con la maturità. Questo anno di gloria non è capitato per caso.
Dybala ha le sue cicatrici, anche se non le porta in faccia come Tevez. A 15 ha perso il padre e il mondo è cambiato, il calcio pure. Era un gioco, è diventato una missione perché era papà che lo portava ogni giorno agli allenamenti: 50 minuti di viaggio, di chiacchiere, risate e sogni condivisi. Dopo il silenzio è rimasto il pallone e non poteva più essere uno scherzo, doveva essere uno scopo, il modo, l’unico, per restare in contatto con quei giorni spensierati. La sola via di continuare un progetto iniziato con papà Adolfo che sperava tanto uno dei suoi figli diventasse campione.
Il viaggio per la celebrità
Dybala cresce lì, istantaneamente. Diventa «il ragazzo della pensione» di Cordoba perché non c’è più nessuno che lo porta avanti e indietro e si deve trasferire. A 18 anni trasloca già in Italia, diventa l’acquisto più costoso della storia del Palermo (12 milioni), si porta dietro la mamma e un sinistro speciale e dopo tre stagioni, una in serie B, è l’attaccante della Juve. Viaggio espresso per la celebrità.
Ora che è dove papà Adolfo lo voleva ha di nuovo voglia di piangere, lacrime molto distanti da quelle che lo hanno sconvolto all’inizio della sua carriera: «Entrare nella storia di questa squadra per me non ha prezzo».
Ricorda la formula del trionfo, mandata a memoria in quell’inizio zoppicante: «Ci siamo confrontati e detti ad alta voce che dipendeva da noi. Dovevamo dimenticare, cambiare e riprenderci. Il gol di Cuadrado nel derby ci ha dato la motivazione che serviva». Da lì la Juve non si è più fermata, lui sì. Si è fatto male, ha perso la partita decisiva di Champions contro il Bayern. La Juve è uscita dall’Europa e lui ha tirato dritto. Troppo vicino allo scopo per farsi distrarre da una possibilità mancata.

Lo vuole pure Messi

È il quinto scudetto consecutivo della Juve, ma è il primo di Dybala che non ha ancora completato l’opera: «Quando sono arrivato l’obiettivo era vincere un titolo subito e fare 15 gol. Poi mi hanno detto che Carlitos ne aveva fatti 21 qui e io mi sono allenato con la fissa di raggiungerlo. O superarlo. Voglio restare nel cuore dei tifosi come ci è rimasto lui».
Quel posto è preso, conquistato dopo una corsa liberatoria che ha stregato i bianconeri e convinto chi pronosticava stagioni di rodaggio prima di vedere prodezze. Dybala è il presene e il futuro della Juve, è la prova che l’età nel calcio non fa statistica e che 32 milioni, amplificati da massicci bonus, non sono troppi davanti a un gioiello. C’è la fila fuori per averlo e pare Messi sia in coda.