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 2016  aprile 26 Martedì calendario

Cristiano De André racconta dell’eroina e dell’alcol, di quando ha alzato le mani sulla moglie e della pace fatta con il padre. Autobiografia di un figlio di

C’è un Fabrizio De André artista. E un Fabrizio De André privato. Tanto grande indiscutibilmente è stato il primo, quanto discusso è stato il secondo. A metterli a confronto è il figlio Cristiano. Che sta per pubblicare la propria autobiografia La versione di C. (Mondadori) e a ripartire in tour con il progetto «De André canta De André».
Le pagine scritte da Cristiano sono spesso crude. Racconta dei suoi trascorsi con l’eroina e l’alcol, di quando ha alzato le mani sulla moglie, del rapporto altalenante con i figli. «È stato terapeutico. Mi sono denudato, avevo bisogno di fare pace col passato e vincere dei fantasmi». Il musicista 53enne (C. era il soprannome coniato dal genitore) non risparmia nulla nemmeno al padre. Racconta di quanto sia stato assente, di quanto poco lo vedesse causa la sua attitudine al lavoro notturno e l’andare oltre con la bottiglia, di quanto fosse avaro sentimentalmente. Aneddoto: quando nel 1993 arrivò secondo a Sanremo lo chiamò: «Questa è la seconda soddisfazione che mi dai dopo il dentice pescato a sei anni! Complimenti, C., sono orgoglioso di te». «Alla fine però esce il senso del perdono. Che c’era già stato con lui ancora in vita. Essere padre non è nel Dna di tutti. Lui ha avuto problemi nell’infanzia e nell’adolescenza, li ha poi avuti con me e io li ho avuti con i miei figli». Dopo anni turbolenti ci fu il riavvicinamento, quando Fabrizio gli chiese di suonare e di firmare degli arrangiamenti per il tour di «Anime salve». «Anche se tardi e col contagocce, ho sentito il suo orgoglio».
Il peso del cognome, la droga... erano solo accenni del testo di «Invisibili», portata a Sanremo 2014. «La canzone ti protegge, è uno scudo. In un’autobiografia è diverso. Devi scrivere tutto. Il coraggio di farlo me lo ha insegnato la coerenza di papà, il suo essere controcorrente». Il peso di essere figlio d’arte l’ha sentito. «C’è gente che ti sottolinea di continuo quanto lui fosse un genio e quanto tu non lo sia. Non avevo quella creatività che aveva lui come cantautore, ma sapevo che avrei fatto il musicista. Ho studiato al Conservatorio, ho fatto la gavetta e oggi ho più sicurezza in me».
Faber ha debuttato 50 anni fa con «Tutto Fabrizio De André», album con brani che hanno fatto la storia della canzone italiana come «La guerra di Piero», «Via del Campo» e «La canzone di Marinella». Saranno l’ossatura del nuovo tour, il terzo, «De André canta De André», debutto il 24 giugno dalla Cavea dell’Auditorium di Roma. «Non coverizzo mio padre, proseguo il suo lavoro portandolo a chi lo ha amato e alle nuove generazioni che non l’hanno potuto vivere direttamente». Quei brani erano densi di messaggi forti. «Ha anticipato i tempi. È stato un punto di appiglio nel vuoto esistenziale, nel nulla che si è amplificato con l’idea che la felicità si possa comprare, che ci sia un dio filigranato davanti cui inginocchiarsi, una sottocultura figlia del berlusconismo. Oggi direbbe le stesse cose di allora».
Lo show, che diventerà poi un live, è diverso dai due precedenti. «Ci saranno 15-18 pezzi che non avevo mai fatto prima. Nei primi spettacoli avevo un’idea più rock degli arrangiamenti e non ci stava bene. Adesso stiamo andando verso un suono che abbraccia l’elettronica alla Talking Heads o Peter Gabriel. Del resto papà sognava di fare un disco con i Pink Floyd... In futuro vorrei fare un altro capitolo: le canzoni d’amore in versione classica, con l’orchestra». È stata coraggiosa l’idea di riprendere le canzoni del padre. «È un modo per avvicinarmi a lui. Ogni volta che riascolto i suoi brani colgo cose nuove. Sapeva essere spietato con se stesso, scavava dentro di sé fino in fondo. E a differenza di altri non ha ceduto al mercato».
Bilancio finale. Come è stato essere figlio d’arte di Faber? «Poteva andare peggio... I confronti li lascio a chi ne ha bisogno». Ed essere stato figlio di Fabrizio De André? «Adesso sono finalmente in pace».