Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 26 Martedì calendario

In Libia gli islamisti appoggiano il governo Sarraj: «Vogliamo salvare la rivoluzione, non continuare la guerra»

«Siamo con il governo Sarraj, vogliamo salvare la rivoluzione. Haftar è un criminale e sarà giudicato dall’Aja». Mustafa Taghdi è professore di ingegneria all’Università di Tripoli, tra i negoziatori chiave sulla Libia in rappresentanza di «Hizb Al-Adala Wal-Bina», «Partito della Giustizia e della Costruzione», fondato da Mohamed Sowan. La formazione incarna anche posizioni vicine a quelle islamiste, alcuni la considerano espressione politica della Fratellanza musulmana in Libia, ma Taghdi non accetta etichette. «Agiamo in un contesto democratico, ci sono formazioni in Tunisia, in Marocco, in Turchia e in Europa con cui abbiamo affinità -spiega -. In passato siamo stati accusati di cose di cui non siamo responsabili».
Siete quindi con Fayez al Sarraj?
«Siamo con il governo sostenuto dalla comunità internazionale, e vogliamo portare avanti il dialogo. Quarantadue anni di dittatura ci hanno causato danni, il peggiore è la perdita del rispetto della vita umana. Ora vogliamo che la nostra nazione viva in pace, vogliamo fermare la guerra, vogliamo stabilità, non vogliamo perdere la rivoluzione, questo lo possiamo ottenere da Skhirat».
Accusano Sarraj di essere un burattino nelle mani dell’Occidente…
«La gente della Libia ha assaporato la libertà e la democrazia. La comunità internazionale e l’Italia in particolare ci possono aiutare in questo, ma qualcuno non lo capisce. Per questo il partito si batte per il processo di pace, e quando il negoziato si fa difficile gli altri Paesi si rivolgono a noi, chiedete ai vostri ambasciatori».
Siete compatti su questo?
«L’errore quattro anni fa è stato passare dalla rivoluzione alle elezioni in poco più di un anno, non eravamo pronti, bisognava ancora lavorare sul campo. Ora le cose sono diverse, lavoriamo per il dialogo, la leadership è stata chiara, vogliamo salvare la rivoluzione. Pochi sono quelli che parlano ancora di combattere».
Qual è il rischio maggiore?
«Se non ci muoviamo adesso la Libia rischia di diventare un’altra Somalia o anche peggio».
Ad ovest del Paese è in atto una tragedia, per l’organizzazione Agenfor 150 famiglie sono intrappolate a Bengasi...
«Forse anche duecento. Vorrebbero lasciare la zona dal mare, ma hanno il terrore che vengano colpite dal generale Haftar. Abbiamo chiesto al governo di informare l’Onu, e chiediamo al Generale Paolo Serra di aiutarci. Mentre stiamo parlando, Haftar sta attaccando anche Derna, martella gli stessi gruppi che hanno cacciato l’Isis e a morire sono i civili».
Haftar gioca sull’ambiguità di Tobruk, non trova?
«Dobbiamo seguire il cammino indicato dall’Onu. Il governo di Tripoli sta funzionando, lentamente, ma sta funzionando, e ha il sostegno di Paesi come Italia, Gran Bretagna e Turchia».
C’è poi l’Egitto di Al Sisi….
«In Egitto c’è anche il cugino di Gheddafi, Ahmed Qaddaf al-Dam. Eppure siamo pronti ad accogliere anche gli ex gheddafiani, sono libici e hanno diritto a vivere in Libia, ma nel rispetto della legge. Oggi non c’è spazio per la vendetta».
E se Haftar continua a bombardare i civili?
«Un uomo solo non può fermare un Paese, Gheddafi ci ha provato ed è stato ucciso. Ci sono prove che dimostrano come Haftar è un criminale. In una Libia democratica e giusta sarebbe incriminato e portato dinanzi alla Corte penale internazionale. Le sue mani sono sporche di sangue, il suo destino è segnato».