Corriere della Sera, 25 aprile 2016
Il centrodestra spaccato in quattro presenta a Roma tremila candidati
ROMA Divisi alla meta. Perché, come dice il super-romanista Maurizio Gasparri ricorrendo al latino tanto caro al presidente laziale Claudio Lotito, alea iacta est, cioè «il dado è tratto» come disse Giulio Cesare varcando il Rubicone in armi e dando il via così alla guerra civile contro Pompeo.
E mai, forse, immagine fu più adatta a descrivere quello che sta accadendo nel centrodestra, romano ma non solo: una guerra civile dalla quale, al momento, paiono uscire tutti quanti un po’ con le ossa rotte. Perché alla fine, più che la profezia di Alfio Marchini – il «civico» che ha fatto stampare i suoi manifesti con lo slogan «liberi dai partiti» ma che poi ha fatto di tutto per avere l’appoggio di Berlusconi – del «rimarranno soltanto due candidati», pare avverarsi quella di un vecchio lupo di mare della politica come Francesco Storace, «Ciccio» per gli amici, che preconizzò: «Le primarie del centrodestra? Le facciamo il 5 giugno, al primo turno delle elezioni comunali».
Al momento, in assenza di eventi per il momento imprevedibili, così accadrà. Da una parte il «blocco lepenista» con Giorgia Meloni candidato sindaco e l’appoggio di Matteo Salvini; poi Guido Bertolaso con Berlusconi, «blindato» dalle parole del leader («rispettiamo la parola data») di sabato scorso; lo stesso Marchini, in campo col suo movimento, che non può permettersi di scendere sotto la percentuale che prese nel 2013 (il 9,4%); e infine Storace, che avrebbe anche valutato un passo indietro ma solo in caso di convergenza unitaria (o semi-unitaria) su un solo nome. Trattative, incontri, riunioni? Tutto finito, tutto interrotto. Ognuno per sé (e Dio per tutti). Bertolaso incontra il «fido» Marcello Fiori e studia la sua squadra: «Vorrei quelli della Protezione civile», ripete a tutti. Forza Italia cerca di frenare la diaspora sul territorio e pensa di coinvolgere i suoi parlamentari nella corsa, con Renato Brunetta che ha dato la sua disponibilità (se Alessandra Mussolini non accetta) di fare il capolista.
Meloni e Marchini affilano le loro armi, Storace dice che «mercoledì annuncerà le sue liste», per il Campidoglio e i quattordici Municipi (Ostia è commissariata per mafia) in cui si vota. In campo, un esercito di gente: tre o quattro liste per la Meloni (FdI, Lega, civica, Liberali), tre per Marchini (la sua, «Roma popolare» animata da Beatrice Lorenzin e i repubblicani della «Lista Nathan»), due per Bertolaso (FI e civica), due per Storace (La Destra e civica). Fanno circa 3.000 candidati di centrodestra (ogni lista ne ha 48 per l’Assemblea Capitolina e 24 nei municipi), per una battaglia dove solo la Meloni – sondaggi alla mano – ha qualche chance di andare al ballottaggio contro Virginia Raggi di M5S e al posto di Roberto Giachetti del Pd, mentre Bertolaso-Marchini si giocano il quarto e quinto posto e Storace rischia l’ultimo dietro Stefano Fassina di Sinistra italiana-Sel. Sul campo restano le parole. Secondo Alessandro Di Battista (5 Stelle) «Berlusconi sta lavorando per Giachetti». Secondo Pierferdinando Casini «Berlusconi ha fatto bene a non cedere ai lepenisti», per Fabrizio Cicchitto (Ncd) «Berlusconi doveva scegliere Marchini». Parole, appunto. Da oggi comincia la conta.