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 2016  aprile 23 Sabato calendario

Ritratto di quell’istrione di Boris Johnson, che accusa Obama di avercela con l’impero britannico perché «è un mezzo kenyano»

Già il nome è lungo. E la dice lunga: Alexander Boris de Pfeffel Johnson. Giornalista, istrione, politico, adultero seriale, sindaco di Londra. Boris Johnson è tutto questo e molto di più. A partire dal suo albero genealogico: suo nonno paterno era il turco Osman Kemal, poi ribattezzatosi Wilfred «Johnny» Johnson. Sua nonna discendeva per via illegittima da re Giorgio II, per cui il nostro Boris è imparentato con buona parte delle famiglie reali d’Europa (oltre che essere lontano cugino di David Cameron). La madre invece aveva ascendenze russo-giudaiche. E lui stesso si è definito «un melting pot umano», con bisnonni cristiani, ebrei e musulmani. Il risultato finale: un mix tutto britannico di cosmopolitismo ed elitismo.
Perché l’imprinting definitivo glielo hanno dato gli anni di studio. Prima Eton, il college delle classi privilegiate, dove gli insegnanti lo descrivono pigro e ritardatario. Poi Oxford, dove studia lettere classiche ma si distingue soprattutto come membro del Bullingdon Club, una specie di società segreta ultra-posh dedita alle bevute e a sfasciare ristoranti. È qui che definisce il suo stile unico, quella trasandatezza upper class a metà fra snobismo e menefreghismo.
Ed è sempre a Oxford che muove i primi passi nel giornalismo: una carriera che decolla quando negli anni Novanta il Telegraph lo manda a fare il corrispondente da Bruxelles. Qui si afferma come una delle penne più euroscettiche basate nella capitale d’Europa e Margaret Thatcher lo elegge a suo giornalista preferito. Ma i suoi articoli al vetriolo contro la Commissione Delors contribuiscono a esacerbare quella spaccatura fra i Conservatori britannici che dura ancora oggi.
Uno scoop che ci riguarda da vicino è l’intervista a Berlusconi nella villa di Porto Rotondo per conto dello Spectator : quella in cui Boris gli fa dire che Mussolini non aveva ammazzato nessuno e che si limitava a mandare gli oppositori in vacanza al confino.
Ma è tutto il suo modo di stare al mondo che è quanto meno disinvolto: celebre il ritardo con cui mandava i pezzi ai giornali, costringendo le redazioni a lunghe serate per metterli in pagina. Per non parlare delle multe accumulate quando provava automobili per conto della rivista GQ. E le cose non migliorano quando diventa direttore dello Spectator, dove lo ricordano per le assenze, le riunioni mancate e il lavoro lasciato fino all’ultimo momento.
Altrettanto sbadato mostra di essere nella vita privata: (perde l’anello di nozze un’ora dopo la cerimonia, neanche fossimo a «Quattro matrimoni e un funerale»). Soprattutto, intreccia una relazione con la columnist dello Spectator Petronella Wyatt, affare che gli costa la poltrona di ministro ombra conservatore della Cultura.
Già, perché Johnson alla carriera giornalistica ha presto affiancato quella politica, culminata nel 2008 nell’elezione a sindaco di Londra (con successiva riconferma nel 2012). Anche in questo ruolo si fa subito riconoscere: quando va a Pechino a raccogliere la bandiera olimpica, fa infuriare i cinesi perché si presenta con la giacca sbottonata.
Eppure i londinesi lo apprezzano, anche perché da sindaco della capitale si sposta su posizioni più liberali, in sintonia con lo spirito della metropoli. E soprattutto cura maniacalmente la propria immagine, fino a scompigliarsi i capelli apposta prima di apparire in pubblico. «Un buffone, snob, sociopatico egocentrico e mentitore seriale», lo ha definito la rispettata commentatrice del Guardian Polly Toynbee. Ma le sue iniziative, come le bici pubbliche cittadine, riscuotono successo. «BoJo», così lo chiamano i londinesi. è fatto così: si prende o si lascia, si ama o si detesta.
Ora si è lanciato nella sua scommessa più rischiosa, l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Forse più per opportunismo che per convinzione. Perché se vince porterà la sua zazzera e le sue intemperanze fino al numero 10 di Downing Street. E allora ci sarà da divertirsi.