la Repubblica, 23 aprile 2016
L’addio di Prince in un anno maledetto
Cosa può spiegare e giustificare tutto questo? Una catena maledetta di coincidenze, la tragica sensazione di una generazione al tramonto? La solita associazione genio e dissolutezza che in un passato, anche recente, ha bruciato le menti migliori di più generazioni? Prince non sembrava affatto far parte di questa schiera di maledetti: perverso sì, ma gioioso, pieno di vita. Il vero perché della sua scomparsa si scoprirà con l’autopsia, ma nel frattempo le cronache ci parlano di eccesso di antidolorifici, che farebbe pensare al suo grande rivale dell’età d’oro: Michael Jackson. Che però, si è scoperto dopo, era gravemente debilitato.
Di Prince non si sarebbe detto: lo definivano un salutista, generoso, energico. Era depresso? Voleva più o meno coscientemente uccidersi, come Keith Emerson, come molti anni fa Kurt Cobain? Ma anche questo sembra lontanissimo dalla sua personalità imprevedibile, ma sempre esplosiva. Era allora come Amy Winehouse, disperatamente attratta da sostanze illecite, da tutto ciò che alterasse il comune senso di realtà? Neanche. Prince sembrava sempre molto presente a se stesso, suonava come Jimi Hendrix, ma non ne ricordava lo stile di vita: dominava, controllava, era un leader, un carismatico capobanda, lucido e attento, l’overdose non sembrava far parte del suo repertorio
Eppure, dicono i testimoni, è stato visto più volte in una farmacia negli ultimi giorni. Ed è ancora più inverosimile pensare al piccolo principe che possedeva il segreto della musica, uscire dalla sua splendente reggia e girare per farmacie come l’ultimo dei vagabondi tossici. Era segretamente malato come David Bowie, il genio che ha trasformato in arte sublime perfino la propria morte? O come Lemmy dei Motörhead che ha suonato fino alla fine dei suoi giorni? Neanche, o almeno al momento non lo sappiamo, sembra solo che possa aver abusato di un antidolorifico, forse questo sì, magari era un’insanabile debolezza, per combattere il dolore all’anca, per andare avanti, sempre, in una fantasmagorica sensazione di vita, piena e appagante. Sapremo, forse, ma nel frattempo la musica cade a pezzi, scompare, e più che un’overdose sembra una desertificazione della bellezza.