La Stampa, 22 aprile 2016
Anche Renzi è a caccia di un seggio Onu e per averlo punta sulla Guyana, le Isole Marshall e quelle del Pacifico
Nei corridoi in calcestruzzo e vetro del Palazzo delle Nazioni Unite, Matteo Renzi febbrilmente si aggira, entrando ed uscendo da incontri con interlocutori sconosciuti alle nostre latitudini, e non solo alle nostre: il presidente delle Isole Marshall e quello delle Mauritius, il presidente della Namibia e quello della Guyana, per non parlare della delegazione dei Paesi isole del Pacifico, dodici staterelli che però nell’Assemblea delle Nazioni Unite votano e numericamente pesano come la Germania o gli Stati Uniti. Con la proverbiale lena e con un’umiltà che i suoi connazionali non gli conoscono, Renzi ha profittato della sessione Onu dedicata ai temi ambientali e in particolare alla firma degli accordi di Parigi sul clima, per dedicarsi a convincere decine di Paesi a dare il proprio voto all’Italia in occasione del voto del 28 giugno per l’elezione dei membri non permanenti nel Consiglio delle Nazioni Unite. Incontri nei quali il capo del governo ha dispiegato le sue doti affabulatorie, ricordando ogni volta la virtù «giusta» dell’Italia, quella che l’interlocutore potesse apprezzare, peraltro nel solco di una tradizione che nel passato ha portato presidenti della Repubblica, come Oscar Luigi Scalfaro, ad azioni persino più stringenti.
Un lavoro al quale il capo del governo si sta dedicando, da un anno, con un «porta a porta» paziente, anche per vincere la concorrenza di Svezia e Olanda, «avversari temibili», nell’ambito di una partita «molto complessa e difficile». Certo, il primo obiettivo di Renzi è quello di poter dire, a fine giugno, «l’Italia ha vinto». E le dichiarazioni di vittoria, nella concezione agonistica della leadership renziana, hanno un irresistibile fascino. Ma nella dedizione con la quale sta affrontando questa mission c’è anche – e soprattutto – un evidente contenuto strategico. Il presidente del Consiglio sa che nell’agenda Onu dei prossimi due anni stanno già scritte questioni vitali per l’Italia: anzitutto migranti e Libia, ma anche Siria, Iraq, Libano.
Dopo la decisione del governo Berlusconi di non entrare nel «5 più 1» che ha affrontato e risolto lo scottante dossier Iran, quel format ha preso piede e rischia di diventare una sorta di camera di compensazione del Consiglio di sicurezza. In questi anni, anche su questioni decisive come le risoluzioni per la Libia, l’Italia si è dovuta «affidare» agli alleati che hanno un seggio permanente, Francia e Regno Unito, Paesi che spesso hanno interessi molto divergenti e anche per questo non risultano del tutto affidabili per Roma.
Proprio per il suo carattere strategico e per la sua difficoltà («Germania e Giappone non sono con noi», ha ammesso Renzi), in questi mesi si sono dedicati alla mission-Onu, oltre al presidente del Consiglio, anche il Capo dello Stato, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, il Rappresentante permanente presso le Nazioni Unite, l’ambasciatore Sebastiano Cardi e diversi ambasciatori italiani in giro per il mondo.
Prima di entrare nel Palazzo di Vetro, Renzi pranza al consolato italiano con Jovanotti, Andrea Pirlo, e altri vip italiani di casa a New York. Poi un incontro con i giornalisti diventa un’occasione per un’ulteriore messa a punto a distanza nei confronti degli sponsor politici (il governatore della Puglia Emiliano in testa) del referendum sulle trivelle: «Passato il referendum con un evidente messaggio politico degli italiani – che lo hanno considerato sbagliato – è fondamentale che nessuno possa pensare che la questione ambientale sia finita in un angolino. Siamo qui per annunciare che noi siamo leader sulle rinnovabili e chiediamo all’Onu e al mondo di essere sensibili su questi argomenti». E ancora: «Dobbiamo avere un modello di sviluppo che rifiuti l’ambientalismo ideologico privo di concretezza. Siamo oggi leader tra i grandi Paesi in europa in tutti i settori delle rinnovabili. Abbiamo già raggiunto gli obiettivi del 2020».