MilanoFinanza, 22 aprile 2016
Ecco perché Wall Street sta andando molto bene
Con sorpresa di molti, lo S&P 500 mercoledì ha varcato la soglia psicologica di 2.100 punti e il Dow Jones trattava oltre quota 18.000 dopo un rimbalzo del 15% dal minimo dell’11 febbraio. Ora gli indici, dopo la leggera flessione di ieri, sono a poco più del 2% dai massimi storici dello scorso maggio.
Ecco le cinque principali ragioni.
1) Il petrolio si è stabilizzato.
L’azionario e i future sul greggio quest’anno hanno avuto una correlazione dell’86%, il che significa che si sono mossi praticamente di pari passo. Operatori e investitori hanno osservato le quotazioni del petrolio come barometro per i titoli azionari o proxy per la salute dell’economia a livello globale. Gli investitori ora sembrano considerare il tonfo del Wti al livello di 25-26 dollari come un minimo ciclico.2) L’economia globale non sta sprofondando. L’economia statunitense ha avuto un primo trimestre debole, a causa del calo dei prezzi dell’energia e al dollaro forte. Tuttavia, come nel 2015, dovrebbe riprendersi entro la fine dell’anno e registrare una crescita annua del pil intorno al 2,4-2,5%. Niente di entusiasmante, ma meglio del resto delle economie sviluppate. Contestualmente il consumatore sta reggendo bene, visto che le immatricolazioni e il dato sulle case sono sulla giusta traiettoria per mettere a segno buone performance. Europa e Giappone dovrebbero tenersi a galla. La Cina ha placato i timori di molti investitori con la pubblicazione per il primo trimestre di una crescita del pil comunque del 6,7% su base annua, contro il 6,9% del 2015.
3) Il dollaro si è allontanato dai massimi. L’Us Dollar Index, che misura la performance del dollaro americano rispetto a un paniere di valute, tratta in area 94, un declino del 6% rispetto al massimo decennale di oltre 100 punti dello scorso dicembre. Questo arretramento potrebbe lenire il dolore delle multinazionali con sede negli Stati Uniti, che hanno dovuto rimpatriare gli utili in dollari più costosi a scapito della redditività. Un dollaro leggermente più fiacco dovrebbe contribuire a far virare in positivo i profitti.
4) Le banche centrali non Usa hanno tenuto aperti i rubinetti. Lo scorso mese la Bce ha esteso il già straordinario piano di acquisto di obbligazioni a 80 miliardi di euro al mese, ha tagliato il parametro dei tassi di interesse a zero e ha portato i tassi di deposito ulteriormente in territorio negativo per combattere la stagnazione della crescita; e ieri Mario Draghi ha ribadito la sua politica. La Bank of Japan, alle prese con un ventennio di deflazione, ha fatto ricorso al bazooka del Qe e ai tassi sottozero per deprimere lo yen e stimolare la domanda, ottenendo peraltro un impatto modesto finora. Anche Ungheria, Turchia, Norvegia, Taiwan e India hanno limato i tassi, mentre Canada e Australia li hanno mantenuti stabili. Svezia, Svizzera e Danimarca hanno già adottato la politica dei tassi negativi.
5) E la Fed? Un’analisi rileva che la politica monetaria della Fed è stata responsabile del 93% dei rialzi dei titoli azionari dell’attuale bull market. E, in effetti, l’azionario lo scorso anno ha avuto una fase di stallo, quando Janet Yellen e il Fomc hanno optato per una normalizzazione dei tassi graduale e moderata. Il primo aumento di un quarto di punto percentuale di metà dicembre ha indotto il sell-off che ha portato lo S&P 500 a una discesa del 12% fino al minimo dell’11 febbraio. Da allora, i tentennamenti del presidente della banca centrale degli Stati Uniti di fronte a mercati ed economie estere «incerti» hanno spinto gli investitori a rivedere al ribasso le prospettive sull’entità dell’aumento dei tassi nel 2016. Ora gli operatori si aspettano che quest’anno il Fomc alzerà i Fed Funds solo una volta, e di 25 punti base. Se avranno ragione, si tratta di una buona notizia per il mercato azionario. Di tutte le regole d’oro di Wall Street, il «non combattere la Fed» è probabilmente la più valida. E se i titoli azionari stanno salendo, non è il caso di andare contro il trend.