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 2016  aprile 22 Venerdì calendario

Piacentini, lo stile del recalcitrante esecutore del Duce

Quand’ero adolescente, la guerra e il fascismo mi sembravano sepolti in un’epoca lontana, com’era naturale. Ma abitavo all’Eur, il quartiere che avrebbe dovuto ospitare l’Esposizione universale per esaltare il regime fascista, e poi andai all’università, alla Sapienza. Casa mia era all’ombra dei palazzi classicheggianti dell’architetto Marcello Piacentini, che aveva anche edificato l’ateneo, allora l’unico di Roma, capace di ospitare 10 mila studenti, e noi eravamo già il triplo, se non di più.
Vivevo e crescevo in un’atmosfera fascista, o meglio su un palcoscenico di marmo ideato da Piacentini, «Mussolinis unwilliger Vollstrecker», il recalcitrante esecutore del Duce, come suggerisce il titolo della Frankfurt Allgemeine per la recensione del libro di Christine Beese, appena uscito dalla Reimer Verlag: «Marcello Piacentini, Moderner Städtebau in Italien» (624 pag.; 250 illustrazioni; 77 euro).
Mussolini aveva Piacentini e Adolf Hitler aveva Albert Speer.
Quest’ultimo lo intervistai un paio di volte nella sua villa di Heidelberg, quand’era appena stato scarcerato dopo vent’anni trascorsi nel carcere di Spandau, e aveva pubblicato le sue memorie. «Non avevo ancora trent’anni, mi disse, e Hitler mi consentì di realizzare tutti i miei progetti, i miei sogni. Come Faust cedetti alla tentazione di Mefistofele». Avrebbe dovuto spianare Berlino, che il Führer non amava, e creare la gigantesca Germania, capitale del Reich millenario. Non fece in tempo, di lui è rimasto poco o niente. A Berlino l’attuale lungoviale 17 Juni che sarebbe dovuto diventare l’asse principale della nuova metropoli nazista.
E in periferia, i turisti possono ammirare un cilindro misterioso di oltre 12 mila tonnellate di cemento, che, per anni, non si riusciva a capire a che cosa sarebbe dovuto servire. Fin quando non furono trovati i piani di Speer, der Teufels Architekt, l’architetto del diavolo. Con il cilindro voleva saggiare la resistenza del terreno acquitrinoso della città che avrebbe dovuto sopportare il peso dell’immane arco di trionfo da erigere per Adolf. Quando Speer mostrò i suoi progetti al padre, pure lui architetto, si sentì dire: «Voi siete tutti matti».
Piacentini era più realista, fascista certamente, ma con qualche dubbio, soprattutto estetico. Quando il Duce visitò Berlino nel 1937 si entusiasmò per le idee urbanistiche e architettoniche di Speer, e ordinò a Piacentini di fare altrettanto. L’architetto italiano era un ammiratore dell’architettura tedesca e della Wiener Secession, ma non condivideva la grandiosità di Speer. Benito non fu entusiasta dei piani di Piacentini, e per il suo Foro littorio che partendo dalla stazione Termini avrebbe dovuto passare attraverso Roma finì per favorire il rivale Antonio Munoz.
Lo stile di Piacentini era quello dell’epoca, come si può osservare da Washington a Mosca. Le sue idee urbanistiche non sono rivoluzionarie, giudica l’autrice, e non fu lui a sventrare il cuore di Roma distruggendo case secolari per aprire la via dell’Impero da Piazza Venezia a Roma. Se l’Ostia che lui sviluppò per «portare Roma sul mare» oggi non è un quartiere ideale non è colpa sua. Quelli che vennero dopo di lui, dai miei Anni Cinquanta a oggi, sono stati peggiori