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 2016  aprile 22 Venerdì calendario

Da oggi in poi tutti gli europarlamentari italiani dovranno subire il metodo Calenda

A partire da questo momento, tutti i deputati italiani al Parlamento europeo riceveranno aggiornamenti regolari e completi sulla posizione del nostro governo sui principali dossier all’agenda dell’Unione.
Non che prima fossero completamente al buio. Ma a differenza, per esempio, dei loro colleghi francesi, puntualmente inondati dal Quai d’Orsay di position papers sulle priorità di Parigi, gli eletti italiani sono stati fin qui oggetto di un’informazione poco sistematica e sicuramente non strategica da Roma.
È uno degli impegni che Carlo Calenda, l’ex vice-ministro al Commercio estero voluto da Matteo Renzi come rappresentante dell’Italia in Europa, ha preso martedì scorso nel suo incontro con i nostri europarlamentari.
L’esordio di Calenda a Strasburgo ha avuto accoglienza positiva e trasversale: scontato l’apprezzamento del Pd, un po’ meno quelli di Forza Italia e soprattutto della Lega. Perfino a Mario Borghezio, che si è visto accogliere con favore la sua idea della digitalizzazione degli archivi storici europei, è scappato un «ottimo». Erano assenti i deputati grillini, che nelle stesse ore apprendevano della morte di Gianroberto Casaleggio. Lontano dalle polemiche romane e dalle urla dei talkshow, l’impressione è che per una volta sia prevalso un clima costruttivo.
A quasi tre mesi dalla sua nomina, meno di due dall’insediamento, Calenda ha offerto nel luogo più simbolico delle istituzioni europee, il solo espressione diretta della volontà popolare, uno squarcio promettente del nuovo modo di stare in Europa che Renzi rivendica per il nostro Paese.
Dove i «pugni sul tavolo» e la voce grossa, che hanno rumorosamente (e inutilmente) accompagnato l’autunno e l’inverno dello scontento italiano, sembrano voler mutare ora in un approccio più sistemico, novità importante del quale è la cabina di regia che ogni venerdì vede Calenda a Roma fare il punto sull’agenda europea con i suoi interlocutori dell’Economia, degli Esteri e di Palazzo Chigi. La doppia qualità tecnica e politica del neo rappresentante e la sua linea diretta con Renzi evitano infatti alcuni passaggi e semplificano la gestione dei vari fronti.
«La visita è il segnale di un metodo nuovo, che punta a costruire una posizione Paese già nella fase iniziale dei dossier per poi portarla avanti con coerenza, invece di tentare di metterci una pezza quando le proposte sono già definite senza tenere nel giusto conto anche gli interessi italiani», spiega Roberto Gualtieri, deputato del Pd che al Parlamento della Ue presiede la Commissione Affari economici e monetari.
Mentre infatti si discute dell’oggi, il nostro governo è impegnato con qualche primo risultato in complesse trattative con Bruxelles (siano gli aiuti alle banche o la flessibilità di bilancio) e l’emergenza migranti, sovrapposta a quella della sicurezza, sembra risucchiare ogni attenzione ed energia, grandi partite per il futuro si stanno giocando nell’Unione europea. Starci dentro, toccar palla come sistema-Paese, essere presenti con idee, priorità e proposte a tutti i livelli del processo – Commissione, Parlamento, Consiglio – cioè a tutti i tavoli che portano alla decisione, è per l’Italia una questione esistenziale.
Sono in ballo fra gli altri l’agenda digitale per la creazione delle Silicon Valley europee; l’eventuale, controversa (e per noi esiziale) decisione sullo status di economia di mercato per la Cina; il IV pacchetto ferroviario che dovrebbe definitivamente liberalizzare i binari d’Europa; il negoziato Ttip con gli Usa per la creazione di un’unica area atlantica di commercio e investimenti; il difficile varo del regolamento sul «made in» che permetterebbe una tracciabilità dei prodotti essenziale per un Paese come l’Italia che punta sulla qualità; non ultime la revisione delle norme Ets sulle emissioni inquinanti e la strategica Unione dell’energia.
Ma sono proprio l’enormità delle sfide e il ritardo accumulato negli anni nella mappa del potere europeo, ad alimentare qualche dubbio sulla reale possibilità di far breccia. «Calenda è un’ottima scelta, ha visione industriale, competenza, ma è solo la tessera, pur molto importante, di un mosaico più grande, ancora tutto da costruire», dice Antonio Tajani, deputato di Forza Italia, vice-presidente del Parlamento ed ex commissario europeo all’Industria. Occorrerebbe «una mobilitazione complessiva, una presenza e un lavoro più assiduo di tutti i ministri a Bruxelles, dovremmo coinvolgere e sensibilizzare di più i funzionari italiani nelle istituzioni come fanno regolarmente tedeschi e francesi, avere un’interlocuzione costante tra governo e Commissione, dove invece registriamo che il membro italiano, che è anche Alto rappresentante per la politica estera, quasi non si parla con il presidente del Consiglio». Ma soprattutto, aggiunge Tajani, «dovremmo avere una strategia dell’Italia in Europa, che vada oltre gli schieramenti politici. Bisogna tutelare i nostri interessi nazionali, nell’ambito più generale dell’interesse europeo. Ma qui il problema è antico, non è solo del governo Renzi. Su cosa puntiamo? Vogliamo che uno dei futuri parchi tecnologici sia in Italia? Non possiamo solo lamentarci e dire che la Merkel è cattiva».
Esempi di come fanno gli altri grandi Paesi abbondano. Uno per tutti, nella distribuzione dei portafogli della Commissione Juncker, senza fare annunci urbi et orbi, la Germania ha puntato sull’agenda digitale, la cosiddetta Industria 4.0, assicurandosi il posto per Günther Oettinger, chiamato ora a disegnare il futuro informatico dell’Europa, mobilitando immense risorse.
«Fare squadra è decisivo, con un coordinamento più stretto la posizione italiana può acquistare più forza, ma bisogna lavorare insieme già in sede di definizione delle proposte», spiega David Sassoli, deputato del Pd e vice-presidente dell’Europarlamento, relatore del IV pacchetto ferroviario, giunto alla fase decisiva del «trilogo», la conciliazione sul testo finale tra Parlamento, Commissione e Consiglio dei ministri.
L’impressione generale è che l’universo italiano a Bruxelles consideri quella di Carlo Calenda «una scelta nella giusta direzione». Ma il problema, viene fatto osservare, è il modo in cui l’Italia opererà nelle istituzioni: «La Commissione – dicono fonti autorevoli – non può essere considerata un corpo estraneo, noi ne facciamo parte. Le regole possono anche non piacerci, ma le abbiamo accettate. Il punto è proprio quello di essere presenti con idee e posizioni nella fase dell’elaborazione, perché una cosa è blindare una proposta che abbiamo contribuito a formulare, un’altra tentare di aggiustarne una che abbiamo subito».