la Repubblica, 21 aprile 2016
Breivik sarà risarcito dallo stato norvegese per trattamento disumano in carcere. Polemiche
«Il divieto di ogni trattamento disumano o degradante è valore costitutivo dello Stato di diritto. Anche rispetto a terroristi e killer detenuti». Fredda e impassibile, la giudice Helen Andenaes Seculik ha letto la motivazione della sentenza emessa ieri in Norvegia.
Anders Behring Breivik, il neonazista oggi 37enne, il massacratore che nell’estate 2011 seminò la morte prima nel centro di Oslo poi a Utoya assassinando decine di giovani laburisti durante la loro festa annuale, ha vinto la sua causa contro lo Stato norvegese per «condizioni di detenzione inumane». Respinto invece il suo secondo ricorso per i pesanti limiti ai contatti con l’esterno, perché «resta altamente pericoloso». Ma adesso le autorità dovranno cambiare tempi e luoghi della sua vita quotidiana di recluso. E risarcirgli 331mila corone norvegesi, oltre 35mila euro, per le spese legali.
Il processo a Breivik – che sconta una pena di 21 anni con detenzione prolungabile in caso di pericolo – si era svolto in marzo, in buona parte a porte chiuse, nel carcere di massima sicurezza di Skien, a due ore dalla capitale, dove Breivik è detenuto. In un locale di 31 metri quadrati, molto più dello spazio medio delle altre celle, diviso tra spazio letto, palestra, spazio lavoro con tv, dvd, playstation, computer non collegato a internet, doppi servizi. Il suo avvocato, Oystein Storrvik, aveva denunciato l’isolamento totale a cui è costretto, le frequenti perquisizioni corporali, l’obbligo di essere ammanettato quando esce dal locale di detenzione. E il divieto di qualsiasi contatto con l’esterno. E anche: «Non ha diritto né a caffè caldo né a cibo fresco, soltanto roba precotta e sigillata da scaldare al microonde, peggio di una tortura, era meglio uccidermi che farmi vivere da animale».
Lo Stato di diritto deve rispettare anche le esigenze dei suoi nemici più pericolosi, è questa la motivazione della sentenza. In particolare, hanno spiegato i giudici, l’isolamento in cui vive Breivik viola l’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani: «Non tiene conto in modo sufficiente del suo stato di salute mentale». I controlli di routine su di lui nudo e le perquisizioni senza preavviso «non si giustificano con motivi di sicurezza, e devono essere considerati trattamento degradante ai sensi della Convenzione». Accolte dunque su questo punto sia le richieste dell’avvocato Storrvik – il quale non presenterà ricorso – sia dell’ombudsman dei diritti dei cittadini.
Respinta invece la richiesta di avere più contatti con il mondo esterno, perché «i limiti sono compatibili con l’articolo 8 della Convenzione tenendo conto della sicurezza antiterrorismo». Breivik ha tentato più volte di contattare l’ultradestra e terroristi europei e americani, aveva persino scritto lettere d’amore a Beate Zschaepe, leader terrorista neonazi tedesca. Si dichiara nazista («prego ogni giorno il nostro dio Odino», dice). E alla prima udienza, aveva colto l’occasione per fare il saluto nazista davanti alle telecamere. «Siamo sorpresi, e saremo noi, le autorità, a presentare appello», ha detto il rappresentante governativo al processo, Marius Emberlan. «L’esecutivo non condivide l’opinione della Corte pur rispettandone l’indipendenza. Breivik si dichiara nazista convinto, dice di vivere per il Mein Kampf».
Era l’estate del 2011, quando Breivik mise in atto il suo piano. In uniforme nera, armato fino ai denti con fucile a pompa, mitra, pistole ed esplosivi, prima aveva seminato la morte nel centro di Oslo facendo saltare in aria il palazzo del governo. Uccise otto persone, l’allora premier laburista Stoltenberg si salvò per caso, era assente.
Poi, con un gommone, raggiunse l’isola di Utoya. Si presentò come poliziotto ai ragazzi della gioventù laburista riuniti per la festa d’estate. Sparò a tutti, uno a uno: ne uccise 69, molti tra loro erano minorenni. A molti, colpo di grazie alla nuca. Per ore le forze di sicurezza non seppero reagire, mancavano persino gli elicotteri. Alla fine fu lui a chiamarli: «Sono il comandante Breivik, missione contro la folle ideologia multiculturale compiuta, potete venire a prendermi». Ieri a Oslo la Corte distrettuale ha riconosciuto i suoi diritti. «È un pugno nello stomaco»,il commento dei familiari delle vittime e dei superstiti di Utoya.