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 2016  aprile 21 Giovedì calendario

È davvero cominciata l’era del post-Berlusconi

Ora che Berlusconi si accinge a sacrificare il suo candidato Bertolaso, l’uomo da lui imposto a dispetto di ogni scetticismo e di ogni consiglio alla prudenza, è difficile credere che lo psicodramma del centrodestra romano si sia risolto d’incanto. Al contrario, oggi più che mai quello che accade ai piedi del Campidoglio rappresenta la fotografia di una metamorfosi politica in atto su scala nazionale. È realmente cominciata la stagione del post-Berlusconi, solo in apparenza gestita dal frastornato, esausto protagonista di un ventennio di storia italiana.
Lo spettacolo non riguarda solo i protagonisti e i comprimari di questa bizzarra vicenda. Certo, colpisce vedere l’anziano leader piegarsi a Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che erano adolescenti quando il berlusconismo si imponeva in Italia. Sono diventati due abili giocatori, rapidi di riflessi, efficaci nella polemica televisiva di taglio populista. Ma esprimono una dimensione provinciale della politica e soprattutto hanno poco in comune con l’Italia a cui sapeva rivolgersi, seducendola, Berlusconi nei suoi anni d’oro. In quell’Italia si era cementato un esteso “blocco sociale” fatto di interessi economici, ambizioni industriali, rapporti personali: un sistema di relazioni a tutto campo che non fu mai interessato a unire il paese, ma seppe dominarlo per anni. Oggi di quel blocco non resta più nulla, anche se Renzi non è ancora riuscito né a ereditarlo né a ricostruirne uno analogo. A Roma, se Berlusconi fosse fedele a se stesso e alla sua storia, si rivolgerebbe ad Alfio Marchini e non a Giorgia Meloni. Sulle sponde del Tevere, fra la città laica e la città vaticana, Marchini è la proiezione di un mondo che un tempo sarebbe rientrato nell’arcipelago sociale berlusconiano oppure che il leader avrebbe assorbito integrandolo. Viceversa, in questa primavera del 2016, Berlusconi non è in grado di compiere una scelta coerente. Scivola perciò verso la Meloni, personaggio che con Salvini anticipa un altro centrodestra: magari di successo a Roma, visto che già ora sembra a un passo dal ballottaggio. Ma, appunto, è un’altra storia: in cui troviamo Marine Le Pen, un confuso nazionalismo anti-immigrati – del genere “Roma ai romani” -, l’affrancamento sostanziale dalla figura del vecchio padre-padrone.
Sul piano formale, non mancheranno gli inchini a Berlusconi, prima sfidato e oggi indotto a piegarsi attraverso la sconfessione di Bertolaso ultimo nei sondaggi. Ma in questo caso la forma non è sostanza. Al leader di fatto esautorato resta solo una mossa: tentare di portare Marchini nella nuova combinazione. Solo così potrebbe bilanciare in chiave moderata l’appoggio all’asse Fratelli d’Italia-Lega. Marchini con la sua presenza sarebbe in grado di stemperare il cedimento berlusconiano alla nuova coppia di potere. Qualcuno direbbe, anzi, che Berlusconi è l’architetto di una nuova alleanza, è il riunificatore del centrodestra capitolino.
È credibile, tale scenario? Ben poco. Marchini ha scelto di fare una corsa solitaria e si è mantenuto fedele alla sua promessa, con i sondaggi migliori che lo accreditano finora di un 12 per cento e addirittura vincente in un ballottaggio con la Raggi. Se Berlusconi avesse scelto lui, a suo tempo, e lo avesse sostenuto senza fagocitarlo, il romanzo del Campidoglio avrebbe potuto avere un finale diverso. Ora non è possibile che Marchini voglia prestarsi a essere l’alibi di un’operazione di altro segno, in cui chi regge il timone non è Berlusconi, bensì il duo Meloni- Salvini.
Del resto, l’ex monarca di Arcore è spinto verso la Lega (e Fratelli d’Italia laddove questa formazione conta, come a Roma) da considerazioni pragmatiche: senza questa alleanza, quel che resta di Forza Italia è destinato a dissolversi. Sono in ballo molte poltrone. E i parlamentari che non vogliono perdere la loro, soprattutto al Nord, sono i più decisi nel pretendere l’intesa di sopravvivenza a Roma. Lo scenario ideale però resta Milano, dove la candidatura di Stefano Parisi, miracolosa espressione di un centrodestra non frantumato, guadagna terreno.