la Repubblica, 21 aprile 2016
L’Unione europea accusa Google: «Impone le sue app ai costruttori di telefonini»
Per la stragrande maggioranza di noi, usare il telefonino potrebbe non essere più la stessa cosa. L’Unione europea ha lanciato ieri una nuova offensiva contro Google, accusando il gigante di Silicon Valley di aver messo in piedi un nuovo – e anche più pervasivo – monopolio. Un anno fa, sotto accusa era finito il motore di ricerca, su cui l’azienda californiana ha costruito il suo successo mondiale e buona parte del suo patrimonio. Adesso, nel mirino del commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, c’è Android, il software per gli smartphone, su cui poggia il futuro di Google e nel quale, secondo la Ue, vengono imposte a forza le applicazioni più lucrose per l’azienda. Se l’antitrust europea l’avrà vinta, accendere il telefonino non vorrà più dire trovarsi automaticamente di fronte Gmail o Google Play.
«Metà del traffico Internet avviene sui dispositivi mobili – dice la Vestager -. E noi abbiamo trovato che Google persegue una strategia a 360 gradi per proteggere ed espandere la sua posizione dominante nelle ricerche sul web». «Gli accordi con i nostri partner sono assolutamente volontari» ribatte il capo-avvocato di Google, Kent Walker -. Android è disegnato in un modo che va bene per la concorrenza e per i consumatori». Il terreno di scontro sono le profonde modifiche che stanno avvenendo nel mondo dell’informatica mobile, oggi la più importante rispetto all’era dei pc. Nel 2012 su 5 euro di fatturato nel settore della telefonia mobile, 4 si facevano vendendo cellulari e 1 con le applicazioni. Oggi il rapporto si è rovesciato: 3 a 2 per le app rispetto ai telefonini. È un mercato enorme: quest’anno, per scaricare nuove app i consumatori spenderanno 77 miliardi di dollari. Ma i profitti che più fanno gola sono quelli della pubblicità che passa su queste applicazioni: 25 miliardi di dollari nel 2015. Le app sono macchine per far soldi: metà del reddito pubblicitario 2015 di Google viene dal mobile. E l’azienda di Mountain View promuove le sue app, in un modo che richiama subito alla mente (il paragone l’ha fatto la stessa Vestager) Microsoft e il grande caso antitrust, legato al fatto che la società di Bill Gates cedeva gratis il suo sistema operativo – Windows – ai costruttori di pc, ma a patto che il sistema contenesse fin dall’inizio il suo browser, Explorer. Così fa Google. Android viene ceduto gratis ai costruttori di telefonini, con l’offerta di preinstallare le app di Google: Gmail, Google maps, Google search, You tube, Google Play (il negozio delle app), Chrome (il browser). I costruttori possono fare a meno di vendere i loro telefonini con le app di Mountain View già disponibili, ma, se rinunciano a una, devono rinunciare anche a tutte le altre. Inoltre, Google offre di condividere con i costruttori parte dei proventi che risultano dalla pubblicità.
In linea di principio, sulla base di una interpretazione accomodante delle direttive antitrust, le pratiche di Google potrebbero essere definite anche soltanto “commercialmente aggressive”. Il problema, puntualizza la Commissione, è che, a metterle in atto, è l’azienda che ha una posizione dominante nel settore. Il grande concorrente di Android, il software iOS dell’i-Phone Apple, è radicato solo nella fascia alta dei consumatori. In complesso, dunque, nel mondo, l’80% dei cellulari usa Android, il 70% nei grandi paesi europei. Da qui l’accusa di sfruttare questo predominio per promuovere i propri prodotti. Delle 8 app con maggiore penetrazione nel mondo dei telefonini, 5 sono Google. Fra il 2014 e il 2015, Chrome, il browser di casa Google, ha quasi raddoppiato l’utilizzo sui cellulari, superando il 30% di penetrazione e collocandosi al primo posto. Anche se il flusso di profitti immediatamente visibile è quello che risulta dalla pubblicità che scatta all’utilizzo delle app, il premio più importante è, probabilmente, altrove. Le app, infatti, prevedono, a meno che il consumatore non si preoccupi di escluderlo esplicitamente, un monitoraggio costante del loro utilizzo che trasmette a Google un prezioso patrimonio di scelte, orientamenti, abitudini, desideri: è il vero tesoro per chi gestisce la pubblicità e può così mirarla con più precisione.