La Stampa, 21 aprile 2016
A Vicenza si sono ridotti a contare i centesimi
N.R. il conto alla Popolare lo aveva ereditato dal padre. «Quando è mancato mi sembrava giusto tenerlo, per lui come per tanti in questa città la Popolare di Vicenza era la Banca, non una banca. Ma poi visto quanto sta succedendo mi sono sentito a disagio ho spostato tutto altrove». Stefania, da 30 anni parrucchiera, non aveva particolari ragioni di cuore. Aveva però un pacchetto di azioni che ai tempi d’oro valevano 140 mila euro. E un fido di 10 mila euro che usava per la sua attività. Mai un problema di pagamento, mai un ritardo. A febbraio, dopo l’uscita del prezzo del diritto di recesso (fissato a 6,3 euro, ndr), viene chiamata dall’agenzia. «Mi hanno detto che sarebbe stato meglio chiudere il fido, proponendomi un altro prodotto molto più caro». In un certo senso, li ha ascoltati. «Il giorno dopo ho aperto un conto in un’altra banca, con il fido. Poi ho chiuso tutti i rapporti con la Popolare».
La rabbia dei vicentini contro quella che era la loro banca è questo: un quarto della raccolta diretta, ovvero dei soldi nei depositi, se n’è andata altrove tra settembre e dicembre dello scorso anno. Per i numeri aggiornati sarà necessario aspettare la trimestrale, ma i segnali non sono certo incoraggianti, tra gli allarmi di Altroconsumo, le minacce della Ue di ricorre al bail in e un paracadute, quello del fondo Atlante, che si aprirà a 0,10 centesimi di euro. Praticamente, un attimo prima dello schianto.
Va detto che in questa storia della Popolare di Vicenza c’è anche un singolare elemento di equità sociale: a rimanerci fregati, fregati davvero, non sono solo i piccoli risparmiatori. I primi azionisti sono i fratelli Ravazzolo, un nome importante del tessile di lusso Made in Italy. I due fratelli e i loro familiari hanno messo insieme un pacchetto di azioni che valeva oltre 100 milioni di euro. Adesso vale 176 mila euro. Il problema è che i soldi per comprarle erano prestati dalla banca. E i Ravazzolo adesso hanno 100 milioni di debiti. Loro come altri nomi dell’imprenditoria locale, esposti per cifre che superano i patrimoni familiari, stanno cercando di transare e arrivare a compensare la perdita con la chiusura del prestito. Pari e patta. Chi non può farlo sono i piccoli, commercianti e artigiani come Stefania. «È il fenomeno più grave che questa terra abbia avuto dalla fine della guerra», dice il sindaco di Vicenza Achille Variati. «Sono iniziate le richieste di aiuto ai servizi sociali», spiega. Anziani che non hanno più i soldi per pagare la badante, famiglie con problemi per il mutuo della casa che avevano i risparmi in azioni della Vicenza: «I primi sintomi», aggiunge. Come se il peggio dovesse ancora arrivare. Il 30% dei 119 mila soci sono tra Vicenza e provincia. La direzione generale della banca, alle porte della città, dà lavoro a 600 persone. Una «miscela esplosiva», per Variati.
In tutto questo il tribunale è ingolfato. I soci che hanno avviato cause penali sono 1200 solo a Vicenza. Gianni Zonin, il fu padre padrone della Popolare, intanto ha spostato ai familiari una serie di proprietà. Un gesto che in procura non è stato apprezzato. Ma lui, il vignaiolo fattosi banchiere, è ancora in giro. È presidente della Fondazione Roi, ad esempio. Intitolata alla memoria del Marchese Giuseppe Roi, pronipote di Antonio Fogazzaro e grande mecenate cittadino, finanzia progetti culturali in città e provincia. Alla morte del Marchese, uno statuto blindato affida le chiavi della cassaforte alla Banca. Cioè a Zonin. Il risultato è un patrimonio di circa 100 milioni di euro investito per un terzo in azioni della Popolare. Un anno fa valevano 31,3 milioni, adesso valgono 50.100 euro. Anche sulla gestione della Fondazione c’è un fascicolo aperto in procura. Il povero marchese, che tanto si fidava di Zonin, chissà come l’avrebbe presa.