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 2016  aprile 21 Giovedì calendario

A New York è stata forse più importante la sconfitta di Cruz che la vittoria di Trump.• Perché? I vertici repubblicani non vogliono Trump, e non vorrebbero nemmeno Cruz, però, dal loro punto di vista, meglio Cruz, soprattutto meglio qualcuno che sia capace di sottrarre voti a Trump e di non fargli raggiungere i 1

A New York è stata forse più importante la sconfitta di Cruz che la vittoria di Trump.

Perché?
I vertici repubblicani non vogliono Trump, e non vorrebbero nemmeno Cruz, però, dal loro punto di vista, meglio Cruz, soprattutto meglio qualcuno che sia capace di sottrarre voti a Trump e di non fargli raggiungere i 1.237 delegati necessari a ottenere la nomination nella convention di Cleveland il prossimo luglio. Cruz aveva illuso parecchio questi repubblicani nemici di Trump perché aveva vinto nel Wisconsin ed era andato bene in Colorado e nel Wyoming. Ma a New York, dove Trump ha preso il 60%, Cruz non è riuscito a portare a casa neanche un delegato e l’altro repubblicano in corsa, John Kasich, ne ha messi insieme appena 4 contro gli 89 di Trump. Quindi, è possibile che Trump non arrivi a 1.237, ma è pressoché certo che i costi per spingere Cruz non valgono l’investimento.  

Che succederà se Trump non arriverà a questo 1.237?
Alla convention ci sarà un primo voto e, se Trump non otterrà il consenso previsto, al secondo giro tutti saranno liberi di fare come credono. È su questo che conta il vertice repubblicano: tirar fuori a quel punto un nome che sia capace di raccogliere la metà più uno dei voti. Non sarà Cruz, ma anche Kasich sembra un nome improbabile. In ogni caso, è scoppiato adesso un grande dibattito dentro il Partito repubblicano, che si può riassumere così: che speranze di vittoria può avere un candidato che non abbia raccolto un minimo di consensi durante le primarie, cioè un candidato voluto dall’establishmenti contro il volere dei suoi elettori? E che fine farà il partito dopo una scelta simile? Il più netto su questa posizione è Rudolph Giuliani, il famoso ex sindaco di New York: «Se gli mancano alla nomination venti o trenta voti, cambino la regola, come ne hanno cambiate tante, e gliela diano, la nomination, perché gli è dovuta. È per questi maneggi, per simili scorrettezze, che non solo Trump ma anche Sanders hanno avuto tanti voti. La gente è stanca». È importante anche la presa di posizione di Ron Kaufman, membro del Comitato repubblicano del Massachussetts, e che sarà a Cleveland tra i 200 delegati liberi: «Se dopo il 7 giugno, quando ci saranno le ultime primarie in California, Trump sarà arrivato vicino a 1.237, sarà evidente per la gente che deve vincere chi ha più delegati e ottenuto più voti.  Vogliamo che i milioni di nostri elettori delle primarie si sentano tranquilli sul fatto che i loro voti valgono, che non li buttiamo nell’immondizia. Vogliamo essere certi che siano con noi a novembre». Di tutt’altro parere Katie Parker, attrice e tra i principali finanziatori dei comitati repubblicani anti-Trump: «Il numero è 1.237, se non ce l’ha, sarà una convention aperta e ce la giocheremo».  

Ma alla fine perché non vogliono candidare Trump?
La ragione ufficiale è che Trump non ha chance contro Hillary. La ragione vera è che Trump, da presidente, non darà certamente retta all’establishment repubblicano. Trump è abbastanza ricco per far di testa sua.  

È vero che non ha speranze contro Hillary?
Così dicono tutti. Io sarei più prudente. Hillary, che non dovrebbe aver problemi ad essere candidata, deve però pascolare in un campo che le appartiene poco, quello del suo avversario Sanders, comunque ancora pericoloso. Le tocca far discorsi contro le trivelle, sugli aumenti del salario minimo, sulla riforma sanitaria (Sanders vorrebbe allargare l’ancora timido sistema di Obama), imprenditori da tassare, marijuana da legalizzare, poliziotti da schedare. Temi che in realtà le sconfinferano molto poco, ma che ha ancora bisogno di sottrarre al suo avversario. Dopo la vittoria di New York, sentendosi la nomination in tasca, ha cominciato a ricompattare il partito. Allo Sheraton di Times Square ha detto: «Con i sostenitori di Bernie sono molte più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. Siamo tutti progressisti, nel solco di una tradizione che va da Franklin Roosevelt a Barack Obama».  

Com’è a questo punto la situazione dei delegati?
In casa democratica Hillary batte Sanders 1948 a 1238. Alla Clinton servono altri 435 sostenitori. In casa repubblicana la classifica è questa: Trump 845, Cruz 559, Rubio (che si è ritirato) 171, Kasich 147. Tra una settimana c’è il SuperMartedì della East Coast: Pennsylvania, Connecticut, Maryland, Delaware,  Rhode Island. In palio 172 delegati. Si va avanti fino al 7 giugno, con l’ultimo round in California.