Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 19 Martedì calendario

Dodici ora di fila per andare ad Arese, altre due per mangiare il pollo fritto del Kentucky Fried

Nel weekend che ha di fatto consegnato lo scudetto alla Juventus, che ha dimostrato che le Ferrari non sono ancora all’altezza delle McLaren (nonostante i proclami dell’a.d. di Fca, Sergio Marchionne) e che ha dato ragione al premier Matteo Renzi sul referendum sulle trivelle, la vera notizia è un’altra. Ossia l’inaugurazione del mostruoso, per le dimensioni (120 mila metri quadrati o giù di lì), nuovo centro commerciale di Arese, forse il più grande d’Europa, voluto dall’ultra-ottantenne Marco Brunelli, patron del gruppo della gdo Finiper e storico rivale di Bernardo Caprotti, ovvero mr Esselunga. Per arrivare in quel di Arese, là dove un tempo sorgeva lo stabilimento dell’Alfa Romeo (marchio oggi del gruppo Fca di Marchionne di cui sopra), 100 mila persone, immaginiamo per la gran parte italiani, magari lombardi o piemontesi o in caso veneti, si sono sciroppate fino a 12-ore-12 di coda. Manco fossimo a Ferragosto a Rimini&dintorni. La società Autostrade per l’Italia ha dovuto chiudere uno svincolo (quello di Lainate). Manco stesse arrivando il Papa. O Renzi. Una concentrazione umana da far impallidire anche i referendari che forse, domenica, hanno perso decine di migliaia di potenziali sostenitori a quel 31,2% che serve a poco o nulla.
Ma quel che forse è peggio è che c’è gente, ci sono connazionali, che hanno fatto due ore di fila per mangiare pollo fritto e patatine, come facevano forse noi da ragazzini. Tutti davanti all’insegna di Kentucky Fried Chicken (KFC), come se solo negli Usa sapessero fare questa antica e segretissima ricetta. Sarà che siamo figli e schiavi della società del consumismo e che di questi tempi, almeno a Milano, vanno di moda le chips made in Olanda o Belgio. In tutto questo c’è una considerazione economica non da poco. Almeno una volta chi andava alle Feste de L’Unità mangiava italiano e soprattutto lasciava denaro fresco a imprenditori italiani. Oggi invece si va ad Arese, come fosse la caput mundi del Terzo Millennio, a omaggiare e soprattutto rimpinguare le tasche di americani, KFC appunto, danesi (i proprietari del mitico marchio della Lego) e pure degli irlandesi di Primark (abbigliamento low cost, dove lo scontrino medio per vestirsi da capo a piedi, è di 48 sterline quindi 55 euro). Curioso poi quest’ultimo caso: lo Stato italiano, ma anche quello francese e tedesco, da tempo combatte i colossi del web, Google su tutti, perché le varie branch locali non pagano le tasse nel paese in cui operano perché di fatto fungono da service per le case-madri europee tutte o in gran parte domiciliate in Irlanda. Verrebbe da dire, in questo caso: cornuti e mazziati